sabato 21 dicembre 2013
INDOVINA CHI VINCE A NATALE?
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INDOVINA CHI VINCE A NATALE? |
Fausto
Brizzi convince a chi crede in Babbo Natale, festeggiando insieme alla Disney
di Lasseter con il suo FROZEN
Diego Abatantuono si incorona Re del
Natale, per una comicità che premia il cinema natalizio dei buoni sentimenti,
tutto sotto lo scettro della Pixar con il fiabesco adattamento della storia di
Christian Andersen.
Ebbene il
colpaccio si è ripetuto per la seconda stagione consecutiva... segno che il “popolo”
italiano delle Vacanze sa ancora apprezzare il buongusto della tradizione più
attaccata al periodo dell’anno in cui tutto deve essere incorniciato in nastri
rossi e vischi a più non posso, facendo stressanti file per assicurarsi che l’ultimo
pacchetto natalizio sia stato confenzionato a dovere. Lo stesso ragionamento
lo ha sicuramente fatto il nostro Fausto Brizzi, già abituato a quel
cinepanettone che ormai sà più di parolaccia rivestita a dovere, per tornare ad
essere definitivamente quel delizioso momento di 90 minuti in cui tutto scorre
sotto il monito della commedia italiana che non guarda in faccia a nessun
periodo dell’anno, senza ipocrisie e diritto allo stomaco. E Christian De Sica
ha salutato tutti con l’ultimo “disaster Movie” passando il testimone a Paolo e
Luca, per accontentare chi vuole giustamente credere alla risata di poche
pretese. La gavetta di Brizzi, diplomato al centro sperimentale (sembrava) solo
per assoldare ai doveri di un Neri Parenti che gli faceva scrivere tutti i più
recenti dozzinali Natali in ogni dove e con tette e culi al macello, si è
infine dimostrato quell’autore di talento in cui tutti hanno sempre creduto,
dalla fiction televisiva per arrivare a toccare quel “mostro” sacro di Francesco
Mandelli, rubato ai I Soliti Idioti
per dirigerlo nel più misurato Pazze di
me. Quest’anno ripesca un collaudato Diego Abatantuono, ormai “purosangue”
senza esitazioni di stile, per incorniciare la fidanzatina italiana Cristiana
Capotondi insieme al “bellone” più cool del nostro cinema, uscito dai ranghi di
Moccia e prestando il suo nome (Bova... Raoul Bova) a questo film che si
preannuncia già come un elisir di buoni sentimenti dai sapori di Oscar più “devastanti”
(non possiamo non nominare Il mio piede
sinistro), per un belloccio che fà intenerire i cuori femminili tra un
sorriso e un’amarezza, per essere un monito a quell’handicap che c’è ma non si
vede, un pò come il nostro Governo che sembra di voler giocare con le sorti di
noi contribuenti. Intanto il cinema è un nostro sacrosanto diritto, e la Disnsey-Pixar
ha fatto le cose in grande anche per il rifacimento della storia classica di
Andersen ispirata a “La Regina delle Nevi”,
con un Brignano nostrano che riesce a caratterizzare il suo Olaf con quel tocco
di originalità che sà di furbizia di mestiere per chi di doppiaggio se ne
intende un pò di più, e l’Autieri come spalla se la cava benissimo. I giochi
sono fatti, e le corse ai multisala sono l’ansia che ci tocca subire per non
farci scappare l’ultima uscita della stagione... sempre nel buon nome del cinema.
Quello buono, come sempre. BUON CINENATALE A TUTTI!
Paolo Vannucci
mercoledì 4 dicembre 2013
CINENATALE 2013: cuciniamoli a fuoco lento!
La strenna
natalizia sulla griglia del botteghino, con un cinema italiano che stenta a
scendere ai patti con i Kolossal americani di fine stagione
Mentre Checco Zalone beffa De Sica e Pieraccioni, anticipando il cinepanettone a
novembre, i giochi di Hunger Games accompagnano la scalata dell’Hobbit di Peter
Jackson.
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DiCINEMA: CINENATALE 2013 |
Paolo Vannucci
domenica 3 novembre 2013
DiCinema: la nuova Hollywood
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Bill Murray (DiCinema: la nuova Hollywood) |
Ilarità e commedia disimpegnata, per
uno dei volti più popolari della comicità americana, nel talento di Bill Murray.
Quando
essere comici può bastare a valorizzare un estro di artista che vale
esclusivamente nell’essere “fieramente” capace di far ridere: Bill Murray.
Claudicante star in ascesa del solito, celebrato SNL, subentrato nella
programmazione televisiva grazie all’uscita di Chevy Chase, quel giovane comico
dell’ Illinois, nove fratelli e genitori di modeste origini irlandesi, abdica
inzialmente gli studi di medicina per intraprendere quella carriera di attore
che lo ha visto debuttare in teatro per passare da quell’amicizia con lo stesso
artefice di quel successo chiamato Ghostbusters
(vero alfiere del programma statunitense), in quel di Dan Aykroyd. Diretti
da Ivan Reitman, comprimario lo stesso Harold Ramis che lo ha voluto dirigere
nel riuscito Ricomincio da capo, felice
commedia nei paradigmi temporali affidati alla comicità estrema, con Andie
MacDowell ad addolcire le ansie di uno scapestrato giornalista in fuga dal
tempo. Un’affermazione cinematografica avvenuta nel pilot di Stripes – Un plotone di svitati, per
approdare nel cast stellare di Tootsie,
spalla di un Dustin Hoffman ricordato per sempre nelle transgeniche fattezze di
una “insolita” primadonna da soapopera. Il tocco di Frank Oz non affievolisce
la valenza di Murray (Tutte le manie di
Bob), accostandolo ad un Richard Dreyfuss che arride alla stessa valenza di
Robert De Niro nel successivo Lo Sbirro,
il Boss e la Bionda, insolito cocktail prodotto da Martin Scorsese, con un
triangolo avvalorato dalla stessa Uma Thurman, in prossimità degli esordi. Un
ritmo di testata comicità, sospesa a metà degli anni ottanta per affinare le
capacità recitative, plasmate nell’analogo S.O.S
Fantasmi (Scrooged), rivisitazione del classico dickensiano affidato
all’esperto Richard Donner, sublime monolgo raffinato di Murray, che stupisce
tanto quanto la celebrazione di Shakespeare nell’insipido Hamlet 2000 (colpa di Baz Luhrman?), incolore opera moderna di
Michael Almereyda, quasi a sfatare lo stesso mito nell’analoga operazione pop
voluta per il restyling cinematografico di un’icona televisiva statunitense,
nel trio formato da Cameron Diaz, Drew Barrymoore e Lucy Liu, nel Charlie’s Angels diretto a due riprese
(suo anche il sequel) da McG. Una verve comica che ha smaltato la scorza di una
più matura valenza di attore “invecchiato” a dovere... ma che continua
inesorabilmente nella sua elegante performance di abile giocatore (il golf, la
sua passione, a cui ha dedicato un libro, Cinderella
Story: My Life in Golf), in quel campo che ne ha decretato “buche e
ostacoli”, ma sempre vincitore.
Paolo Vannucci
sabato 12 ottobre 2013
martedì 8 ottobre 2013
DiCinema: La nuova Hollywood
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DiCinema: Steve Martin (2013) |
Comicità, vèrve e raffinatezza, per
uno degli attori e autori di un cinema che ha mantenuto le aspettative della
commedia tipica Hollywoodiana, nel talento ineguagliabile di Steve Martin.
Riuscire ad
arginare un talento che può travolgere e definire i tempi di una rinnovata
recitazione comica, senza marcare il confine tra la classica commedia e il
revival musical oltre ogni stile
generazionale, può sembrare quasi impossibile... oppure, come il nostro Steve
Martin ha saputo superbamente dimostrare, essere una grande realtà. Texano,
come un buon whisky che non può deludere, con salde radici negli studi
ordinari, fino alla laurea in filosofia. Il primo debutto in una compagnia
teatrale formata nel periodo liceale, con un piccolo musical, per definire la
propria carriera professionale solidamente indirizzata nello spettacolo. Passare dalle prime esperienze televisive
(The Smothers Brother Comedy Hour), alla fucina “obbligatoria” del Saturday
Night Live, per approdare al cinema con una solida esperienza come autore.
Tutto è iniziato con Ecco il film dei
Muppet (The Muppet Movie, 1979),
celebrazione dell’universo creato da Jim Henson, negli indimenticabili Kermit
& soci, in un valzer di celebrità “investite” dai personaggi di pezza più
popolari della TV (lo stesso Steve Martin, con il proprio talento, tenuto a
battesimo quando da ragazzino lavorava presso il Magic Shop di Disneyland), per essere diretto da Carl Reiner (sue
le sceneggiature) ne Il Mistero del
cadavere scomparso (incursione atemporale nella commedia anni ‘40), Ho perso la testa per un cervello (brillante
idea di un soggetto che vede Kathleen Turner disputarsi i favori di un
neurochirurgo in cerca d’amore in un cervello femminile parlante) e Ho sposato un fantasma. La celebrazione
del Saturday televisivo si completa con John Landis che dirige un travolgente
trio di avviate conferme in Martin, Chevy Chase e Martin Short nel I Tre Amigos, parodia del cinema muto
nei riflessi comici, a suo tempo contestati da un’eccessiva caratterizzazione
messicana dei personaggi, per completare il genere fanta-comico-splatter con il
più celebrativo La piccola bottega degli
orrori, con Frank Oz a “deliziare” un raccapricciante quasi musical (in
origine basato su una commedia Off Broadway di Howard Ashman), con Rick Moranis
ad affiancare Martin, nel ruolo chiave del dentista sadico. La prima incursione
nella trasposizione “ad Opera” (sua anche la produzione) avviene per mano di
Fred Shepisi a dirigere Roxanne,
divertente commedia tratta dal Cyrano di Edmond Rostand, con Daryl Hannah nel
ruolo di una rivisitata astronoma in dipartite di cuore, seguita dal più
elaborato Pazzi a Beverly Hills (L. A.
Story), shakespeariana trasfigurazione a vantaggio degli status sociali
(Sarah Jessica Parker e Victoria Tennant tra i protagonisti). Ron Howard lo
dirige in Parenti, amici e tanti guai,
riunione di famiglia con un collettivo di tutto rispetto (con Tom Hulce, Keanu Reeves
e Dianne West), per riproporlo
nuovamente ne Il Padre della Sposa
(entrambi i film diretti da Charles Shyer), nel rifacimento di un classico
della commedia anni 50. Di ottimo impatto, il riuscito lavoro di Kasdan, nel Grand Canyon sempre a favore di Kevin
Kline (da citare anche Danny Glover e Mary McDonnell), per sondare il difficile
terreno fertile della religione-spettacolo, con Debra Winger a rafforzare il
soggetto. Si susseguono lavori di doppiaggio, da Il Principe d’Egitto a Fantasia
2000, per risondare l’ennesimo remake di un altisonante capolavoro di Blake
Edwards, La Pantera Rosa, nel ruolo
che fu di Peter Sellers, in due episodi rispettivamente diretti da Shawn Levy e
Harald Zwart. Una carriera di successi che hanno sempre confermato una
ineguagliabile mimica e caratterizzazione, che non hanno mai deviato i tempi
della commedia tipica americana, soprattutto quando il valore della comicità
non è mai un espediente in cerca di prodezze da Oscar.
Paolo Vannucci
mercoledì 11 settembre 2013
"RIPUFFIAMO" CON I PUFFI 2
Computer
grafica “figlia dei tempi” per il secondo episodio sempre diretto da Raja Gossnell.

Paolo Vannucci
sabato 17 agosto 2013
TURBO: la sfida della DREAMWORKS al colosso PIXAR è nelle sorti di una piccola lumaca!

Velocità
e buoni sentimenti, per la parabola "sognatrice" che fà tremare la
Disney-Pixar di Lasseter.
E’ proprio vero; "tremate, le corse sono tornate". O le lumache?
esclamerebbe un più combattivo Ron Howard che stà per scendere ai box di una
delle più attese sfide affidate ai bolidi su quattro ruote formato Formula Uno,
con il suo Rush, dedicato al periodo
d'oro siglato dal celebre duello firmato Niki Lauda-James Hunt (rispettivamente
Chris Hemsworth e Daniel Brhul), proprio mentre la computergrafica è diventata
l'additivo doping più supervalutato e abusato da ogni team sportivo... e qui si
parla di major che si contendono le platee cinematografiche di vacanzieri
"affamati" di pixel e originalità. Quando sembrava che Lasseter
avesse innalzato un muro di insuperabile maestria con il suo innovativo Cars, in quel Saetta McQueen oggi
rivisitato dalla stessa Disney (ora in veste di produttore esecutivo) con Dusty
Crophopper, piccolo aereoplano che sfida i cieli in analoghe competizioni da
vera star in Planes, ecco che la
DreamWorks di Spielberg (chi meglio di lui) non resta di certo a guardare,
visto il recente successo riscontrato con Le
Cinque Leggende, immergendo un pubblico abituato alla linea antidisneyana
battezzata con Shrek, per riprendere
quel sapore di tradizione che di certo non guasta. Il risultato? un vero mix di
zuccherosa filosofia in soffici forme colorate dalla simpatia dei personaggi,
ricordandoci di quel nonnino di Up
che tanto ci ha fatto commuovere, tra palloncini colorati che ci fanno vedere
il mondo dall'alto dei cieli (proprio per questo ha vinto un Oscar, nel 2010,
per l'animazione), ma questa volta la morale è riposta nei sogni di una giovane
lumaca che sembra convogliare tutti gli stereotipi delle favole di successo,
confermando una formula che è stata ammorbidita (forse) dalle recenti traversie
sociali "manipolate" dagli adulti, che sposano l'amarezza con la
soporifera redenzione di un lieto fine dal sapore di pop-corn e coca cola. Le
trame sembrano sempre rimandi volenterosi di piacevole abilità artigianale
(ebbene si, ora il cinema d'animazione è solo affidato alle penne ottiche e le
tavole grafiche dei cartoonist) ed i nomi di quei personaggi sono come le
macchiette uscite dalle tavole a fumetti della nostra infanzia. Nulla ci può scoraggiare
a volerci affezionare a Turbo,
geneticamente dopato a misura di sogni, affidato alla voce di Ryan Reynolds
(reduce dal Jordan di Lanterna Verde)
e Paul Giamatti, in quell'ambizione di correre tra l'asfalto di Indianapolis
che marcia al ritmo di un cuore che riesce a farci desiderare di essere sempre
vincitori. Almeno se accompagnati dai nostri figli!
Paolo Vannucci
lunedì 1 luglio 2013
LONE RANGER E' TORNATO!
Corvi e
pistole, per la cavalcata del ranger solitario firmata da Gore Verbinski, con
Johnny Depp “coraggiosamente” Tonto
Dopo Pirati dei Caraibi, la miscela
esplosiva di humour e azione a sugellare il ritorno al cinema del personaggio lanciato
dalla WXYZ radio statunitense.

!
Paolo
Vannucci
giovedì 20 giugno 2013
SUPERMAN REBOOT!
Dopo Brian
Singer, il ritorno del kryptoniano più prolifico della DC affidato a Zack
Snyder, con Henry Cavill ad indossare la Super S, nella riedizione più umanista
che il cinema abbia potuto regalare
Restyling dei personaggi creati da
Siegel & Shuster, per una inedita versione dell’eroe fondatore del fumetto
della DC Comics.

Paolo
Vannucci
mercoledì 29 maggio 2013
DiCinema: la nuova Hollywood
Un viaggio
nello star system mondiale, per conoscere gli attori e i registi che hanno rinnovato l’ultima generazione di
miti in celluloide
Uno dei volti più rappresentativi
della Hollywood “perbene”, nel fascino senza
tempo di un talentuoso Leonardo DiCaprio.

P. A. Vannucci
martedì 7 maggio 2013
DiCinema: la nuova Hollywood
Un viaggio
nello star system mondiale, per conoscere gli attori e i registi che hanno rinnovato l’ultima generazione di
miti in celluloide

Paolo Vannucci
lunedì 8 aprile 2013
BIANCA COME IL LATTE, ROSSA COME IL SANGUE... e si gira!
Ritornano Leo & Beatrice, novelli
Romeo & Giulietta revisionati dal professore liceale D’Avenia, per deliziare
il genere adolescenziale iniziato da Federico Moccia.
“Formula giusta
non si cambia”, sembra suggerire la nuova commedia italiana rivolta ai
giovanissimi, arrivando persino a prendere in prestito volti e atmosfere che
sfiorano il plagio dei diritti d’autore. Tanto nessuno se ne accorge, almeno
così si augurano i produttori di un cinema italiano che ha trovato una strada
battuta dalla fiction televisiva dalla quale nessuno vuole recedere, e ne sa
qualcosa la giovane Aurora Ruffino, oggi Silvia, al fianco di Filippo
Scicchitano, ex Scialla comprimario di
Fabrizio Bentivoglio, immersi in quella voglia di crescere che non arriva
mai... e quando arriva è ormai troppo tardi. L’importante è cogliere
quell’attimo, viverlo e colorarlo meglio che si può, complice l’avidità di chi
l’adolescenza l’ha già vissuta, meglio se è anche un professore di lettere
ancora troppo giovane per smettere di guardare il mondo con gli occhi di un
sognatore. Il professore è svelato, dietro i riccioli ribelli e ossigenati di
un Alessandro D’Avenia che ha saputo calarsi nel ruolo di scrittore, con un
corso di sceneggiatura e la capacità di riadattare la propria esperienza di
giovane professore di un liceo qualunque, al servizio di quella fantasia
intrisa di filosofia e poetica che, forse, “rompe” soltanto un pochino, ma
sempre quel tanto che basta per farci essere sempre migliori. La storia la
conosciamo tutti, almeno per chi il libro, da cui è tratto il film, lo ha
divorato. Leo (Scicchitano), sedicenne immerso nel suo problematico mondo di
studente, con l’amico Niko (Romolo Guerreri) compagno di vita e di calcetto.
Poi c’è Silvia (Ruffino), seduta al banco di scuola e innamorata persa di
quell’incosciente che pensa sempre a Beatrice (Gaia Weiss), bella e destinata a
morire, tra quei capelli rossi che svaniscono tra le lenzuola bianche di un
ospedale. Nomi importanti, che sembrano emergere dalle pagine del libro di
letteratura del Sognatore (Luca Argentero) che ammonisce di congiuntivi e prosa
le incertezze dei propri studenti. Una storia come tante, ma che riesce a dare
vita ad un film carino e convincente, proprio come i colori che lo devono
caratterizzare, il Bianco e il Rosso, appunto. Una regia riposta in Giacomo
Campiotti, che ha saputo cogliere il meglio dei suoi recenti predecessori,
ripescando Questo piccolo e grande Amore
di Riccardo Donna, sulle note della celebre canzone di Claudio Baglioni, in
quel valzer di colore e musica architettata ad arte, per saper essere cinema
che può ancora valere il prezzo di un biglietto. Le note della canzone dei
Modà, Se si potesse non morire,
riesce a convincere quel scetticismo quanto basta, coreografando un videoclip
che merita il successo di un film che vuole rimandare sempre l’attenzione al
libro da cui è stato tratto. Merito di quel giovane professore di Lettere, cha
a forza di sognare è riuscito a trovare la propria strada. Complimenti...
Paolo Vannucci
giovedì 28 marzo 2013
IL CACCIATORE DI GIGANTI: il ritorno di Jack e il fagiolo magico

Ritornano le imprese narrate da
Benjamin Tabart e Joseph Jacobs, nel restyling diretto dal “papà” degli X-Men,
Bryan Singer.
“Ucci, ucci
sento odor di cristianucci”. Lo ha
esclamato il Bryan Singer che ha resuscitato il fumetto di Siegel & Shuster
nel mantello di Kal-El (Superman returns)
e il prequel della dinastia degli X-Men,
in attesa dell’imminente seguito del giovane gruppo capitanato da McAvoy. Se la
fortuna del regista è legata alle gesta di eroi di carta (e qui si parla di una
delle fiabe più popolari, tramandate dalla cultura inglese e importata dalla
voracità statunitense), allora ci troviamo al cospetto di una delle più belle e
meritate trasposizioni “computerartigianali” che farebbero invidia persino a
zio Walt (Disney), quando nel 1947 si cimentò voce e disegni nel quarto
lungometraggio d’animazione “di gruppo” (il nono di serie) distribuito dalla
RKO, deliziandoci con un Topolino, Pippo e Paperino alle prese con la
proverbiale scalata alle spalle del pacioso gigante (Bongo e i tre avventurieri), frutto miracoloso della crescita del
germoglio leguminoso più promettente che si possa sperare. Se l’ilarità da
sempre tramandata sin dalla prima pubblicazione The History of Jack and the Bean-Stalk (stampato da Benjamin
Tabart), è sempre stata la chiave di lettura che è la madre delle favole
folkloristiche di ogni tempo, Nicholas Hoult è praticamente perfetto per
immergersi nel mondo fantasy popolato da sortilegi e magie, quasi un
promettente e aspirante stregone in quel di Merlino (impossibile non fare
riferimento alla fortunata serie televisiva omonima, trasmessa dalla BBC con
Colin Morgan interprete, a cui lo scenografo Gavin Bocquet deve i propri
meriti), nei panni analoghi di un timorato Jack che si trova costretto a
difenedere le proprie terre dal Mondo dei Giganti, risvegliati, irritati e cocciuti
nel reclamare la legittima podestà del proprio regno. Che di Leggenda sia,
leggenda sia fatta... anche se questi “stralunati bamboccioni” di cattivo
sembrano aver ben poca fattezza, confidando nella propria proverbiale indole primitiva,
confrontandosi nell’umanità contrapposta dalla nobile casta ridimensionata
dalle vesti regali di Re Brahmwell (uno Ian McShane ormai abituato ad amorfiche
trasfigurazioni, da quando Rupert Sanders lo ha immolato a nano nel suo Biancaneve e il cacciatore), per essere
affiancato da Stanley Tucci (altro cardine d’eccezione, dopo il circense
showman televisivo di Hunger Games), solo per fare breccia nel cuore della
principessa Isabelle (Eleanor Tomlinson), senza tralasciare Ewan McGregor
(Elmont) e Raine McCormack nelle rappresentative recriminazioni da gigante. Gli
ingredienti ci sono proprio tutti, per non deludere tante aspettative, mentre
per ora possiamo solo remunerare l’ultima impresa cinematografica risalente a
dieci anni fa, diretta da Brian Henson, con un Matthew Modine in chiave
dickensiana, per ristabilire ordine nelle dispute genetiche controllate con
etica noncuranza. Che un fagiolo possa destare tanta attenzione, questo lo
staremo proprio a vedere...
Paolo Vannucci
mercoledì 13 marzo 2013
CARLO VERDONE: LA CASA SOPRA I PORTICI... “il film più importante della mia vita”

Uno dei
ritratti più intimisti e celebrativi del regista e attore Carlo Verdone, tra le
pagine della sua biografia, intrisa di ricordi e devozione ad una famiglia del cinema
italiano
La vita dell’attore, raccontata con
la voce dei propri sentimenti, dedicato al padre Mario e la madre Rossana, ai fratelli...
e a quella casa in via Lungotevere.
Una casa
paterna, in via Lungotevere dei Vallati 2, avvolta in quella spogliata
malinconia tipica dell’attore romano che tutti conoscono, attraverso i film e i
personaggi che lo hanno fatto diventare il regista comico che ha saputo
raccontare l’italiano borghese, popolare e “fraccicone”, proprio come il grande Albertone
Sordi nazionale, che poteva spiare dalla finestra di casa sua, sin da
ragazzino, prima di diventare il padre putativo cinematografico che tutti
abbiamo apprezzato ne In viaggio con papà.
Lui è Carlo Verdone, romano verace e fiero
di esserlo, con quell’ umiltà tipica dei propri personaggi, maschera dell’italiano medio degli ultimi 50
anni di Belpaese, attraverso la
maniacale pignoleria di Furio, la stralunata ingenuità da bamboccione di
Mimmo, al fianco di Lella Fabrizi
(insieme hanno girato Bianco, Rosso e
Verdone e Acqua e Sapone), i
capisaldi della propria comicità, scaturiti dal primo contenitore del moderno
varietà televisivo di Enzo Trapani, Non
Stop, nel palinsesto televisivo di Rai 2 del ’78. Il Verdone che non lo ha mai abbandonato, sin
dal pionieristico centauro su due ruote visto in Troppo forte, scritto e interpretato insieme a Sergio Leone, personaggio
ripreso circa dieci anni dopo nel Gallo
cedrone, girato nel ’98... coatto al punto giusto, proprio come i neosposi
di Viaggi di Nozze, complice la
fedelissima Claudia Gerini, nel monito de “lo
famo strano” , voluta anche nel precedente Sono pazzo di Iris Blond, musicista nel nome di quella passione per
la musica che non lo ha mai abbandonato, sin da quando ascoltava i 78 giri in
vinile della madre Rossana, comprati con i soldi dati da zio Gastone (“I dischi non vanno conservati con le
copertine, ma devono essere sistemati in pila l’uno sopra l’altro... che
stronzata colossale!”), mentre col tempo, nelle pareti della sua stanza, ci
appendeva i poster dei Pink Floyd, dei Beatles e di Hendrix... a cui ha
dedicato un altro frammento della propria personalità, nei panni di Bernardo Arbusti,
critico musicale ipernevrotico e con la sindrome dell’analista nel Maledetto il giorno che t’ho incontrato, al fianco di Margherita Buy, sceneggiato con
un io narrante che ricalca fedelmente l’introspezione soggettiva dell’attore,
molto simile al libro odierno. Una
vita di ricordi, di amori e di amicizie, tra il primo trauma subito per la
perdita del nonno materno Aldo (“aprivo
la mano e lui vi posava i due dobloni, poi mi dava un’affettuosa carezza prima
che fuggissi a mangiare quei buonissimi cioccolatini”), alla conoscenza sui
banchi di scuola di un giovanissimo Christian De Sica (il suo personale “Grande
Freddo” con Compagni di Scuola),
corteggiatore di una tredicenne Silvia, sorella dell’attore, passato sotto il
severo permesso di papà Mario (“è
soltanto un pallonaro”), per poter ufficialmente frequentare la donna che
sarebbe diventata la moglie di oggi (sua è la dedica di Io e mia Sorella, al fianco di Ornella Muti). Oggi, quella casa
paterna la guarda dal di fuori, vuota di tutto ciò che un tempo è stata la loro
famiglia, “lontana, per certi versi
estranea”, come una foto del suo volto, “giovane, con i capelli leggermente lunghi, ignaro del futuro che lo
attendeva”.
Paolo Vannucci
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