Corvi e
pistole, per la cavalcata del ranger solitario firmata da Gore Verbinski, con
Johnny Depp “coraggiosamente” Tonto
Dopo Pirati dei Caraibi, la miscela
esplosiva di humour e azione a sugellare il ritorno al cinema del personaggio lanciato
dalla WXYZ radio statunitense.
Con Gore
Verbinski non potevamo che aspettarci un vero cult dissacratorio e ambizioso al
punto giusto, visto che per interpretarlo è ricorso al più collaudato “indio”
che potesse accreditare nei panni di Tonto, vera star al fianco del Ranger
ispirato all’ufficiale federale realmente vissuto al finire dell’ottocento,
Bass Reeves, ripescato dall’autore Fran Striker dell’emittente radiofonica WXYZ
che nel 1933 ne imbastì il primo programma a puntate (tremila circa in totale,
celebrando il ventennale nel primo film girato nel 1956). Nulla di simile al
nostro Johnny Depp contemporaneo, che del personaggio spalla originale sembra
solo conservare la tipica sillabazione fonense, adattando il proprio look di
nativo americano Comanche ispirandosi al dipinto originale di Kirby Sattler. Un
film nato sotto gli ottimi auspici celebrativi, visto la recente firma del
produttore Jerry Bruckheimer nella prestigiosa Walk of Fame, con lo stesso Depp
come padrino della cerimonia, fresco delle sue cinquanta (ebbene sì) primavere.
Una produzione Disney di ampi orizzonti, visto la recente “transizione”
battezzata da Tim Burton con il suo Alice
in Wonderland, poliedrico nel tratteggiare i personaggi nella frenesia
circense colorata di follia. Il risultato che ne consegue è inevitabile,
ritrovandoci quel cocktail di citazioni (tipiche della Disney formato cartoon)
che ha trasformato la prateria della frontiera americana cara al fumetto
originale (proseguito con successo negli albi della Western Publishing, per
approdare alla recente produzione affidata alla Dell Comics) in una moderna
contea di Hazzard dei Dukes formato Pirati dei Caraibi. Armie Hammer
(l’attore) diventa così uno sprovveduto ranger riportato in vita dallo spirito
di un indiano (Depp) che lo istruisce alla propria missione, prendendo in prestito
le atmosfere di un analogo fumetto della DC Comics in formato celluloide nel
nome di Jonah Hex, nella coppia Josh
Brolin e Megan Fox diretti da Jimmy Hayward, che se ne possono trovare ampi
riferimenti di trama e abilità cinematografica, attingendo nelle
trasfigurazioni cromatiche che possono accomunare le tavole di entrambi. Se
l’istrionismo di Depp può bastare a dare corpo alla sceneggiatura scritta da Justin
Haythe, Ted Elliott & Terry Rossio, estremizzando quell’ilarità che ha
potuto colorare un accademico Richard Donner nel suo “proverbiale” I Goonies, pizzicando lo stesso Brolin
allora adolescente, di certo non possiamo essere turbati da una ennesima Helena
Bonham Carter che dalla scacchiera della Regina di Picche si ritrova in un
ennesimo compromesso temporale tra cavalcate (il sauro Silver è rimasto sempre
bianco, per volere di Dio), fughe dal treno e caverne cupe da oscuri segreti. Clayton
Moore può riposare tranquillamente in pace, visto che rimarrà l’unico Lone
Ranger in carne e ossa in sella a quel ronzino che ha sfrecciato sulle note
della celebre March of the Swiss Soldiers
del Guglielmo Tell di Gioachino Rossini, per trovare residui sprazzi di celebrità
televisiva nella serie animata a più riprese, iniziando dalla primissima del
’68 per approdare alla corposa riedizione della Filmation dedicata alle
celebrità d’epoca (vedi Tarzan, Zorro e lo stesso Lone Ranger), finendo nella
celebrativa serie del 2001 che ha dato l’incipt per un pilot televisivo arginato
sul nascere, con Chad Michael Murray ad indossare la proverbiale mascherina
nera. Con un Johnny Depp così in forma, Jay Silverheels (il Tonto televisivo original vintage) può invocare canti di battaglia
sul piede di guerra... ne siamo più che sicuri
!
Paolo
Vannucci
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