
Uno dei
ritratti più intimisti e celebrativi del regista e attore Carlo Verdone, tra le
pagine della sua biografia, intrisa di ricordi e devozione ad una famiglia del cinema
italiano
La vita dell’attore, raccontata con
la voce dei propri sentimenti, dedicato al padre Mario e la madre Rossana, ai fratelli...
e a quella casa in via Lungotevere.
Una casa
paterna, in via Lungotevere dei Vallati 2, avvolta in quella spogliata
malinconia tipica dell’attore romano che tutti conoscono, attraverso i film e i
personaggi che lo hanno fatto diventare il regista comico che ha saputo
raccontare l’italiano borghese, popolare e “fraccicone”, proprio come il grande Albertone
Sordi nazionale, che poteva spiare dalla finestra di casa sua, sin da
ragazzino, prima di diventare il padre putativo cinematografico che tutti
abbiamo apprezzato ne In viaggio con papà.
Lui è Carlo Verdone, romano verace e fiero
di esserlo, con quell’ umiltà tipica dei propri personaggi, maschera dell’italiano medio degli ultimi 50
anni di Belpaese, attraverso la
maniacale pignoleria di Furio, la stralunata ingenuità da bamboccione di
Mimmo, al fianco di Lella Fabrizi
(insieme hanno girato Bianco, Rosso e
Verdone e Acqua e Sapone), i
capisaldi della propria comicità, scaturiti dal primo contenitore del moderno
varietà televisivo di Enzo Trapani, Non
Stop, nel palinsesto televisivo di Rai 2 del ’78. Il Verdone che non lo ha mai abbandonato, sin
dal pionieristico centauro su due ruote visto in Troppo forte, scritto e interpretato insieme a Sergio Leone, personaggio
ripreso circa dieci anni dopo nel Gallo
cedrone, girato nel ’98... coatto al punto giusto, proprio come i neosposi
di Viaggi di Nozze, complice la
fedelissima Claudia Gerini, nel monito de “lo
famo strano” , voluta anche nel precedente Sono pazzo di Iris Blond, musicista nel nome di quella passione per
la musica che non lo ha mai abbandonato, sin da quando ascoltava i 78 giri in
vinile della madre Rossana, comprati con i soldi dati da zio Gastone (“I dischi non vanno conservati con le
copertine, ma devono essere sistemati in pila l’uno sopra l’altro... che
stronzata colossale!”), mentre col tempo, nelle pareti della sua stanza, ci
appendeva i poster dei Pink Floyd, dei Beatles e di Hendrix... a cui ha
dedicato un altro frammento della propria personalità, nei panni di Bernardo Arbusti,
critico musicale ipernevrotico e con la sindrome dell’analista nel Maledetto il giorno che t’ho incontrato, al fianco di Margherita Buy, sceneggiato con
un io narrante che ricalca fedelmente l’introspezione soggettiva dell’attore,
molto simile al libro odierno. Una
vita di ricordi, di amori e di amicizie, tra il primo trauma subito per la
perdita del nonno materno Aldo (“aprivo
la mano e lui vi posava i due dobloni, poi mi dava un’affettuosa carezza prima
che fuggissi a mangiare quei buonissimi cioccolatini”), alla conoscenza sui
banchi di scuola di un giovanissimo Christian De Sica (il suo personale “Grande
Freddo” con Compagni di Scuola),
corteggiatore di una tredicenne Silvia, sorella dell’attore, passato sotto il
severo permesso di papà Mario (“è
soltanto un pallonaro”), per poter ufficialmente frequentare la donna che
sarebbe diventata la moglie di oggi (sua è la dedica di Io e mia Sorella, al fianco di Ornella Muti). Oggi, quella casa
paterna la guarda dal di fuori, vuota di tutto ciò che un tempo è stata la loro
famiglia, “lontana, per certi versi
estranea”, come una foto del suo volto, “giovane, con i capelli leggermente lunghi, ignaro del futuro che lo
attendeva”.
Paolo Vannucci
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