lunedì 26 settembre 2022

Oasis Supersonic… e oltre il Britpop

OASIS SUPERSONIC

Il rapporto emotivo dei fratelli Gallagher, in un viaggio introspettivo attraverso la musica e la propria ascesa

Ogni decade ha inesorabilmente tracciato un passaggio musicale che ha potuto elargire quella metamorfosi di stile, dove la genialità espressa dall'artista ha sempre potuto delineare la nascita di un genere innovativo, come testimoni di un tributo a quelle radici che si fondono con la continua ricerca di tecniche sperimentali che stabiliscono le frontiere della musica moderna. Ciò che si è delineato come Britpop ha visto la caratterizzazione di una acusticità repressa nel culto pop degli anni '80, totalmente rivoluzionata da un ritrovato bisogno di riportare la musica al suo stato “primitivo”, spogliandosi di quei virtuosismi delineati dall'abile uso di arrangiamenti sinth che hanno indubbiamente traghettato il sound verso una visione più commerciale del prodotto discografico. Il regista Mat Whitecross (con la produzione di James Gay Rees e Asif Kapadia, vincitori dell'Oscar per il film su Amy Winehouse) ha potuto dare valore ad un gruppo musicale che ha saputo valorizzare quelle timbriche “rudimentali”, abbracciando un periodo di nascita e crescita che è iniziato nel 1991 sino allo scioglimento avvenuto nel 2009. Gli artefici di questo fenomeno chiamato Oasis sono, indubbiamente, i fratelli Noel e Liam Gallagher (produttori esecutivi del docu-film), raccontati da un regista che ha ricucito la crescita umana di due ragazzi che hanno trasformato la loro voglia di emergere dall'ambiente sottoproletario di Manchester, con una lente lasciata più ad un ipotetico collage di frammenti fotografici ed emotivi, dando una dimensione umana a quel talento che è nato a rilento, per diventare quasi una forma di riscatto nella determinazione dell'essere “unici”, proprio come il titolo del primo singolo pubblicato, Supersonic.

Il rapporto con la madre Peggy, amorevole verso i tre figli (Paul, Noel e Liam) ai quali non ha mai negato il bisogno di esprimersi attraverso la loro crescita personale, è filtrato da un ritratto di legame solido, nonostante l'assenza di un padre alcolizzato che viene tenuto relegato inizialmente in secondo piano, per raccontare la vita comune di una normale famiglia senza apparenti problemi o ripercussioni emotive. Quelle che poi fa riaffiorare prepotentemente Noel, dipingendo il padre come quel meschino che ricorreva alle percosse non solo su di lui, ma su quella figura materna che ha saputo reagire ad una situazione di forte disagio, per riuscire a scappare di casa e poter far crescere i propri figli lontani da una figura paterna incapace di esserne all'altezza. E la figura materna viene ripresa dal regista in diversi momenti della scalata al successo dei propri figli, attraverso quei filmini sgranati che hanno una luce opaca e pigmentata dalla stessa umanità espressa dai ragazzi, sino a quel riavvicinamento paterno in prossimità di uno dei concerti del gruppo, in quella telefonata ricevuta da Noel, minacciando il padre al punto di farlo ricorrere all'uso dei media giornalistici per avvelenare un rapporto ormai naufragato per sempre.

Stilisticamente, una fotografia praticamente assente, dove la storia della band è l'unica protagonista assoluta di un documentario che esclude, praticamente, ogni legame esterno alla vita musicale di Noel e Liam, ribelli e scapestrati quasi controvoglia, come qualsiasi ragazzo che divide la propria vita tra lo studio e l'amore per il calcio. Lo stesso flashback iniziale di uno dei concerti più memorabili degli Oasis, quello tenuto a Knebworth Park nell'agosto del 1996, usato come prologo di un racconto che si addentra nell'armonia tenuta vincolata dalla tenacia caratteriale di Noel, il più determinato nella crescita musicale del gruppo, ma che ha sempre vincolato la sua creatività alla reattività artistica del fratello, in un rapporto simbiotico fatto di intese produttive nella composizione dei brani del gruppo. Una delle costanti che il regista ha saputo dosare, proprio per far scivolare il documentario, spezzandolo con l'irriverenza di quella genialità che si tinge di quella sregolatezza che ha marcato l'estroversione di un Liam più propenso all'irrequietezza scomoda di chi è consapevole di poter disporre di un ascendente così prepotente sulle masse giovanili, quasi tutelato da un Noel che poteva vantare una capacità tecnica maturata attraverso le trasferte come tecnico delle chitarre degli Inspiral Carpets, prima di fondare la band assieme al fratello e ai tre componenti della prima formazione del gruppo, ovvero Tony McCarroll (batteria), Paul McGuighan (basso), Paul “Bonehead” Arthurs (chitarra ritmica).

La crescita della Band viene scandita dalle trasferte giapponesi e americane, quest'ultima caratterizzata da uno degli episodi più “scomodi” della band, laddove a Seattle, il 23 settembre 1994, inizia il primo tour statunitense degli Oasis, e al Whisky a Go-Go di Los Angeles succede che, infastiditi dagli spettatori e dai fotografi, Liam si inasprisce contro di loro, mentre i componenti della band non riescono a sincronizzare l'esecuzione dei loro pezzi, riprendendo la loro performance tra lo sconforto generale. Ma non è solo Liam a dare il cattivo esempio, visto che ormai la fama di “ragazzacci” del rock sembra prendere il sopravvento sulle qualità stesse del gruppo musicale, visto il dichiarato uso di droghe e alcool da parte di Noel, ammettendo di assumerne in dosi abituali come una normale tazza di tè. Ma la popolarità della band è ormai all'apice e con l'uscita del secondo album (What's the Story) Morning Glory?, inizia la consacrazione della band con un sound più melodico e legato al grande successo in ascesa, confermato dal singolo Wonderwall, uno dei cult generazionali per tutti i fan degli Oasis, vincendo tre BRIT Awards come miglior band inglese, ma rifiutando con irriverenza la consegna del premio in una disputa tenuta da Noel con il conduttore Chris Evans.

La fama cede, poi, il posto all'umiltà dei due fratelli, che accendono il documentario con la consapevolezza di aver ricevuto molto da tutti quei fan che hanno riconosciuto grande il talento di una band che non ha mai nascosto nulla di se, nella gioia di una madre che ha solo saputo apprezzare la tenacia dei propri figli, in quell'arroganza apparente che svanisce dietro gli sguardi di Noel e Liam, sempre gli stessi bambini che cullavano i propri sogni e che hanno sempre cercato l'uno gli occhi dell'altro, per quell'intesa esternata sul palco e che li ha proclamati autentici pionieri di un genere che ha scritto una delle pagine più grandi e autentiche della storia della musica, accostabili alla grandezza ispiratrice degli stessi Beatles, mantenendo intatta la propria originalità che si fonde con un sentimentalismo riversato in un ringraziamento sentito come un finale tenuto sempre aperto nel cuore di chi ha saputo apprezzare la crescita della loro band… Si, proprio quella dei fratelli Gallagher.

Paolo Arfelli Vannucci


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