venerdì 23 settembre 2022

Alan Parker: meravigliosamente una vita in musica

ALAN PARKER: Una Vita in Musica

Il tributo più sentito al regista che ha raccontato l’evoluzione di stile di due generazioni che hanno accompagnato la storia musicale del cinema mondiale

Quando i contenuti cinematografici possono diventare delle piccole gemme di autenticità narrativa, la magia che il soggetto riesce a comunicare al pubblico riveste un ruolo di forte impatto, sia nei contenuti che nella riuscita caratterizzazione dei protagonisti. Il merito di Alan Parker è sicuramente uno dei più alti valori cinematografici espressi, in una carriera intrisa di quei sapori di classe proletaria che ha saputo forgiare un cineasta forte della propria consapevole determinazione. Nato e cresciuto nel borgo metropolitano inglese di Islington, la sua abilità si consolida nei primi lavori pubblicitari (la più nota è la campagna della Cinzano), per diventare produttore di se stesso e avviare quella promettente carriera cinematografica che ha visto rivalutare le più espressive icone musicali di mezzo secolo di cinema, arrivando a soppiantare con lo stesso Evita, quella gloria in musical di Norman Jewison (Jesus Christ Superstar), nei vocalizzi sublimi di Madonna Ciccone e lo stesso Antonio Banderas. Una capacità narrativa altamente valutata in quel capolavoro espressionista nella stessa sua combattuta e contradditoria generazione, in Pink Floyd The Wall, per celebrare le proprie origini girando un analogo The Commitments, sulle spalle di quei ragazzi di periferia che vogliono riportare il sound del corposo Soul tra i locali di Dublino, tra i brani di Mack Rice e Wilson Pickett. Un filo conduttore che riscopre quella morale giovanile che è sempre alimentata dalla stessa scintilla emotiva, anche se le mode possono segnare nuove tendenze e la musica cerca di alimentare nuove correnti di stile. Con Sing Street, il regista John Carney ha saputo amalgamare alla perfezione tutti gli stessi ingredienti, partendo da una storia che ci parla con un linguaggio sospeso tra due epoche; il presente e un passato, tra i più nostalgici e caratteristici che si possano definire. Ma il pregio migliore del film è quel sottile surrealismo degli eventi, trasposti in quell'acerbità che non vuole appesantirsi dei problemi degli adulti e che parla magicamente con il proprio linguaggio, innocente e puro. Nel 2007, Jason Reitman ha saputo raccontare le problematiche analoghe di un'età immersa nelle proprie difficoltà quotidiane, regalandoci quel cammeo di Juno, presentato analogamente al Festival del cinema di Roma e che ha affascinato i più scettici della critica, conquistando il premio Marco Aurelio come miglior film. Tutto riversato sulla spontaneità recitativa di Ellen Page e Michael Cera, laddove una maternità indesiderata può riuscire a colorarsi ugualmente di rosa e risultare piacevolmente credibile.

La capacità del regista John Carney, con Sing Street, è proprio quella di amalgamare la sua adolescenza adattandola ad una storia fresca e intelligente, in un periodo in cui la musica commerciale dava più peso all'immagine a scapito di quella qualità che solo i gruppi più originali riuscivano a mantenere. Il risultato è, dunque, apprezzabile, laddove i riferimenti stilistici del periodo si miscelano abilmente tra cinema e musica, senza appesantire un ritmo che trae vigore proprio dalla giusta dimensione lasciata al buon gusto dell'immagine, in quei video girati “sulla strada”, con metodo e intelligenza, proprio come gli originali degli '80, quando il new romantic era quasi un ritrovato stile di pensiero e il grunge sapeva adattarsi alle nuove leggi del mercato discografico. Alan Parker è riuscito, quindi, a costruire un ponte generazionale tra due epoche così vicine e distinte, insegnando un cinema colorato dalla stessa storicità degli eventi (Benvenuti in Paradiso e Mississippi Burning rimangono due ritrovati esempi di stile), laddove il valore musicale rimarrà sempre quella autentica celebrazione di un’arte rilasciata dai suoi stessi protagonisti, da quel poliedrico Fame che ha decantato la crescita di un valore che ha consacrato la stessa grandezza di un regista. Ad Alan Parker, con stima e gratitudine.

Paolo Arfelli Vannucci


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