CIO' CHE INFERNO NON E': Alessandro D'Avenia |
Terzo libro
dello scrittore siciliano, nel viaggio intimo di una Palermo vissuta nelle sue
aspre contraddizioni, attraverso gli occhi del giovane Federico e padre Pino
Puglisi
Alessandro D’Avenia racconta la
propria adolescenza in un omaggio ad una Sicilia che non sà dimenticare.
“Dove sei tu che puoi cucirmi l’anima
silenziosamente? Ragazza piena di luce, puoi tu rammendare un ragazzo fatto di
vento? Io cerco il tuo nome, benchè tu non l’abbia”
Federico è
fatto di benchè... diciassette anni colorati da una poesia che lo fa sentire
sicuro in quel mondo scolastico rappresentato da quel liceo costruito sulle
parole del Petrarca, di Dante e di tutti quei poeti che lo fanno sentire utile,
in un mondo ancora incerto ma che ha un porto sicuro che è la sua famiglia, i suoi
genitori e il fratello Manfredi...
“I maschi risolvono così le vertenze:
è una cosa che le donne non capiranno mai. Senza mio fratello sarei soltanto un’ipotesi
di maschio”
E’ per
questo che Federico si ritrova in un campetto di calcio malmesso, in quella
parte di città che tutti chiamano Brancaccio, frequentato da ragazzi così
diversi da lui, con una rabbia interiore che non conosce ma che identifica con
quella testardaggine che ha sempre associato alla voglia di scoprire la vita,
come i suoi poeti dannati che declamano amore e maledivivere... oppure quelle
letture giovanili che si devono leggere per non essere nessuno. Come dice il
suo “3P”, il professore di religione padre Pino Puglisi, quell’uomo che
Federico scopre di giorno in giorno, portandolo ad avvicinarsi a quel mondo
fatto di nomi nuovi... Francesco, Maria, Dario, Serena e Totò... uniti da un
pallone che vogliono calciare alto nel cielo, oltre le nuvole... oltre il Cacciatore, ‘u Turco, Madre Natura.
Lui, arbitro di una partita molto più grande della sua età, che gli procura un
labbro rotto e una bicletta rubata. Ma Federico non vuole rinunciare a quel
prete che gli ha fatto conoscere una realtà che sino a quel momento poteva
essere solo quell’ostinazione che ha sempre conosciuto come dignità, molto più
matura dei cartoni animati giapponesi che guarda alla televisione con suo
fratello. Per questa nuova asprezza ha rinunciato al mese in Inghilterra,
dimostrando a suo padre di essere cresciuto... almeno quel tanto che basta per
essere responsabili delle proprie azioni, proprio come vuole quell’altro padre,
il prof di religione. Lui le scatole le rompe... si consuma le nocche sugli
usci di quella burocrazia che sembra oscurata da quel male che tutti chiamano Cosa Nostra. Ma Federico ha imparato la più importante
delle lezioni... “perchè il solo lievito
per un cambiamento possibile è nascosto tra le mani di chi apre orizzonti dove
il destino prevederebbe violenza e desolazione”.
“L’inferno non esiste. E se esiste è
vuoto. Dicono. Vivono forse in quartieri con giardini e scuole . Ignorano. L’Inferno
sono gli enormi palazzi di cemento, alveari screpolati e abbandonati dalla
bellezza, che fanno di cemento l’anima di chi li abita. L’Inferno si annida nei
sotterranei di questi palazzi stipati di polvere bianca tagliata alla meglio e
carne umana in saldo. L’nferno è fame mai soddisfatta di pane e parole. Inferno
è un bambino sfregiato da fuori verso dentro, dalla pelle fino al cuore.
Inferno è il lamento degli agnelli accerchiati dai lupi. Inferno è il silenzio
degli agnelli sopravvissuti.
Ciò che inferno non è”
PaoloVannucci
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