DiCINEMA: AL PACINO |
Un
viaggio nello star system mondiale, per conoscere gli attori e i
registi che hanno rinnovato l’ultima generazione di miti in
celluloide
Carisma
volitivo e aspra caratterizzazione, per uno dei migliori attori di
una generazione di “grandi leoni” del cinema americano, nel
talento di Al Pacino.
Quando
le origini di un uomo si fondono con il patrimonio emotivo che ogni
artista ripone nell’avvalorare una recitazione unica, capace di
assorbire il meglio e il peggio di una società che riflette ogni
singolo segnale, per essere pura emulazione. Alfredo James Pacino,
Al... come lo conosciamo tutti. Quando essere italo
americano vuol dire
piegarsi al volere di uno stereotipo che ti può marchiare la pelle.
Un tatuaggio che è il proprio pane quotidiano, nel mestiere che
ambiscono tutti. Lee Strasberg ha creduto in lui, quando la vita lo
aveva già provato, abbandonato da un padre (Salvatore Pacino) che
non ha mai conosciuto, cresciuto dalla madre (Rosetta Gerardi),
claudicante negli studi che abbandona a 17 anni, per assaggiare la
vita fatta di lavoro e umiliazione, nel ricongiungersi con le propri
origini e vivere in quella Sicilia che lo ha visto prostituirsi. Lui,
che ha esordito nella serie televisiva N.Y.P.D.(1968)
con un arresto per porto abusivo di arma da fuoco a soli ventun anni.
Lui, che ha messo il proprio nome nella saga più celebrativa del
cinema americano, per volere di Coppola ne Il
Padrino (Corleone,
come il paese natale dei nonni materni), per diventare l’attore
celebrato che non ha mai smesso di esserlo. Sidney Lumet lo ha
diretto in Serpico e
Quel pomeriggio di
un giorno da cani,
mentre Pollack lo ha traghettato nel suo Un
Attimo, una Vita
(Bobby Deerfield),
per definire la tipica commedia plasmata da Arthur Hiller, Papà
sei una frana,
(pragmatismo ebraico sopra le righe scritta da Israel Orowitz),
strappato l’anno successivo da Brian De Palma che lo immola nel suo
Scarface (auto
celebrazione di un
mito), al fianco di Michelle Pfeiffer, voluti anche da Garry Marshall
nel suo Paura
d’Amare (Frankie
and Johnny, 1991),
riuscita commedia drammatica tratta da un testo teatrale di Terrence
McNally. Hugh Hudson lo dirige in Revolution,
spaccato storico americano di fine 700, mentre Harold Becker lo
ritratteggia nel riuscito Seduzione
Pericolosa, giallo
psicologico che lo introduce nell’universo parallelo ricreato da
Warren Beatty, nel Dick
Tracy devoluto al
fumetto, come celebrativa interpretazione d’immagine (fotografia e
sceneggiatura ad opera d’arte) e appello di attori (da Dustin
Hoffman a Madonna, Paul Sorvino e Dick Van Dyke). L’Oscar
meritato arriva con Martin Brest, nel remake di Profumo
di Donna di Dino
Risi (da un romanzo di Giovanni Arpino, il
Buio e il miele),
con Chris O’Donnell al fianco di un Pacino in grande stile, ruoli
precedentemente interpretati da Vittorio Gassman e Alessandro Momo.
Michael Mann lo affianca al proprio ego d’attore, ovvero un Robert
De Niro nei rispettivi ruoli di cacciatore e preda (Heat
– La Sfida), come
dissacratoria rievocazione di un cliché
che ha definito l’immagine di entrambi. Misuratosi da regista e
interprete, con il testo teatrale di Shakespeare Riccardo
III - Un uomo, un re
(portato anche in teatro, con successo di critica), Michael Radford
lo ripropone, dirigendolo ne Il
Mercante di Venezia,
vero mattatore nei paradigmi socio-letterari dell’opera stessa. Un
Pacino completamente assorbito dai caratteri che sono la nemesi
della propria personalità, assuefatto di tanta dimestichezza
di mestiere, portandolo a prove di brillante commedia drammatica nel
dosato L’Avvocato
del Diavolo, di
Taylor Hackford, con un Keanu Reeves in grado di sostenere l’analoga
spalla di altrettanta valenza generazionale, vedi Johnny Depp in
Donnie Brasco
(tratto da una biografia di Joseph D. Pistone), nuovamente alle prese
con mafia e legge, sulle orme del Carlito’s
Way di Brian De
Palma. Una carriera decisamente costellata di successi, motivata da
scelte che hanno sempre riflesso la propria realtà di attore, tra
luci e ombre di un privato che non ha mai rinnegato l’autenticità
di un simile mestiere... se teniamo conto che ha detto no a George
Lucas, come Ian Solo di Guerre
Stellari, forse
imboccando una carriera e un successo che difficilmente riusciamo a
dissociare dal Pacino che noi tutti vogliamo ammirare.
Paolo Vannucci
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