DiCINEMA: TOM HANKS |
Un viaggio nello star system mondiale, per conoscere gli attori e i registi che hanno rinnovato l’ultima generazione di miti in celluloide
Comicità, drammaticità e impegno, per uno dei volti del cinema internazionale che ha saputo imporsi da grande protagonista nella mecca hollywoodiana, nelle qualità di attore di Tom Hanks.
“Uno per tutti e tutti per uno” sembra essere il motto più adeguato per descrivere uno dei volti più rappresentativi del cinema mondiale contemporaneo, tramutando quella innata predisposizione alla verve comica in uno stile che s'addice alla commedia drammatica come alla satira più disimpegnata. Tutto ciò appartiene al grande Tom Hanks (Concord, 1956) di padre americano (lontano discendente del presidente Lincoln) e di madre portoghese. Si diploma alla California State University di Sacramento e approda alla televisione appena ventenne con la serie televisiva Henry e Kip, a cui seguono Love Boat, Happy Days e il più fortunato Casa Keaton, esprimendo, in quelle brevi apparizioni da autentici cammei, tutto il suo potenziale che imploderà nel primo successo cinematografico da vero protagonista, in quel Splash – Una sirena a Manhattan diretto da Ron Howard, accanto ad una esordiente Daryl Hannah, a cui seguiranno dei veri successi commerciali di puro divertimento in stile American Graffiti, passando da Bachelor Party – Addio al celibato (regia di Neal Israel) a L'uomo con la scarpa rossa (di Stan Dragoti) e lo stesso Casa, dolce casa? (regia di Richard Benjamin), araldi di un disimpegno che ha potuto sagomare un carisma della risata intelligente. Il salto alla commedia di grandi pretese arriva con Big, rifacimento del nostrano Da grande con Renato Pozzetto, aggiungendo un tocco di originalità tutta americana per mano di Penny Marshall. Stesso stile per i successivi L'erba del vicino e Turner e il casinaro, per approdare finalmente al cinema d'impegno con Il Falò delle Vanità di Brian De Palma, accanto a Bruce Willis e Melanie Griffith. Ottimo cinema di grande respiro con Ragazze vincenti di Penny Marshall e Insonnia d'Amore di Nora Ephron, rispettivamente accanto a Geena Davis e Meg Ryan. Il tanto sospirato Oscar per un cinema d'impegno arriva con Philadelphia di Jonathan Demme, vero portabandiera sui pregiudizi legati al fenomeno dell'AIDS e sull'omofobia causata dall'omosessualità. Successo bissato l'anno successivo con l'imponente Forrest Gump di Robert Zemeckis, aggiudicandosi la seconda statuetta per il Miglior attore protagonista, in quella favola tutto zucchero e poesia tratta dal romanzo di Winston Groom. Ron Howard lo rivuole in grande stile per il suo Apollo 13, biopic sulla tanto celebrata missione più disastrosa della NASA, a cui seguono pellicole di grande richiamo quali Salvate il soldato Ryan di Steven Spielberg, che firma anche i successivi Prova a Prendermi,The Terminal e Il Ponte delle Spie. La fortuna lo vede nuovamente grande protagonista con la serie di romanzi di Dan Brown, a cui Ron Howard deve tutta la sua peculiarità di regista, firmando il trittico composto da Il Codice da Vinci, Angeli e demoni e Inferno. Seconda prova da regista (l'antecedente Music Graffiti) con L'amore all'improvviso, per rispolverare il cinema dei grandi sogni e orizzonti con Cloud Atlas, diretto a quattro mani da Lana Wachowski e Tom Tykwe. Da segnalare Captain Phillips – Attacco in mare aperto di Paul Greengrass, per tornare a deliziare il pubblico delle grandi occasioni con Saving Mr. Banks di John Lee Hancock, biopic sulla travagliata nascita del capolavoro di Walt Disney, Mary Poppins.
Paolo Vannucci
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