MAD MAX: FURY ROAD |
Reboot in grande stile, per la saga che ha iniziato trent’anni fa il genere apocalittico reinverdito dalla Graphic Novel.
Mad Max è tornato... ma quale vigilante deve assumere i tratti del poliziotto postatomico che nel lontano 1979 fu del rimpianto Mel Gibson è presto svelato. Reduce da una ineguagliabile trilogia rilasciata da papà Frank Miller, Tom Hardy si ritrova oggi buono e bello, alle prese con inseguimenti e cervelli deteriorati da una visionaria pazzia che si consuma tra le polverose strade di un Medioevo truculento dedicato solo ai grandi eroi... fuori di testa lo aggiungiamo tranquillamente noi, con il benestare del regista George Miller, lo stesso che ha iniziato la prima trilogia che ha fatto la fortuna di un genere ripreso dallo stesso Ridley Scott per il suo Blade Runner, e le somiglianze non si sprecano. Tutto ha avuto inizio con Interceptor (Mad Max), primo capitolo del regista australiano, fedelmente devoto a quel feticcio di attore che ha saputo rappresentare quel nuovo concetto di violenza gestita da riprese turbolente impastate di motociclisti semimutanti e di una trama rilasciata da quelle letture per ragazzi che attingono da una fantascienza reinventata a dovere. Olocausto è sempre stata la parola magica che ha aperto un mondo di distruzione che ha preso in prestito le lande desertiche della stessa Australia per farne un mondo di antieroi pronti a uccidere senza causa (Interceptor – il guerriero della strada), grotteschi nella maniacale ripetitività di sequenze che devono tutto il loro fascino alla stessa colonna sonora a cui fanno riferimento. Qui entra in causa il terzo episodio girato nel 1985, Mad Max oltre la sfera del tuono, dove una grintosa Tina Turner si vede chiamata in causa per il ruolo della regina Auntie, madrina di quel duello perpetuato in sfavore del protagonista alle prese con il signore della città sotterranea di Barteltown. Un protagonismo ripreso oggi da una adeguatissima Charlize Theron nel ruolo di Furiosa, tra protesi e incarnazioni di un gene ribelle che seduce con lo stesso ritmo di un fumetto da intenditori, nella visionaria distruzione di un Gimenez dai tratti seducenti, complici le eterne pianure australiane care al regista, miscelate dai deserti sudafricani dei Cape Town Film Studios. La giostra del futuro è nuovamente allestita a dovere, per riprendere Max Rockatansky laddove lo avevamo lasciato e sappiamo tutti che dover eguagliare un personaggio che ha sempre avuto un debito con la fisicità di Mel Gibson non è impresa tanto facile e scontata per il nostro Tom Hardy. I presupposti per non far rimpiangere nulla partono tutti da George Miller, camaleontico regista che ha saputo reinventare generi al ritmo di Happy Feet o lo stesso L’Olio di Lorenzo, sapendo gestire situazioni completamente diverse per genere e moralità. Che la corsa di Fury Road abbia inizio...
Paolo Vannucci
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