venerdì 4 maggio 2012

Hollywood si rinnova con la sfida di HUNGER GAMES

Cacciatori e vittime, nell’arena apocalittica nata dalla scrittrice Suzanne Collins, per il nuovo culto adolescenziale post Twilight

  Fantascienza intrisa di rimandi a un cinema che “sacrifica” soggetti adulti e problematiche giovanili, per la nuova fenice diretta da Gary Ross. 

 E’ inutile opporsi alle pretese delle nuove generazioni, quando sembra tutto manovrato da un “Mangiafuoco” che è sempre in cerca di svogliati seguaci di un cinema disimpegnato, ma che riesce ad entusiasmare “grandi e piccini”, spettatori paganti di una nuova moda di favole narrate nell’era dell’Ipad. Tutto è iniziato nei ‘70 chic, quando Michael Anderson rielaborò il romanzo scritto a quattro mani da William F. Nolan e Geoge Clayton Johnson, per essere quel La Fuga di Logan, sobriamente interpretato da Michael York e Peter Ustinov, novella futurista di una società regolata da un Carosello che raggira devoti contribuenti, nel nome di una Fede debellata da uno Statuto assassino. Stessa ideologica sorte per il culto uscito l’anno successivo (siamo nel 1976) firmato da Norman Jewison, dove un James Caan era (o sarà?) il gladiatore idolo di una Società che è riuscita a debellare la Guerra, incanalando Violenza e Sport in unico tributo chiamato Rollerball. Assuefatti ma non stanchi, ci ha riprovato Michael Bay nel 2005 (The Island), anestetizzando una Società tenuta “nascosta”, perfetti cloni di un mondo reale che garantisce privilegi e benessere alla classe più abbiénte. Oggi è il turno di Gary Ross, reduce da un analogo Pleasentville, per decorare di misticismo cinematografico, la trilogia scritta da Suzanne Collins. Il titolo è The Hunger Games, opera senza sequel, làscito delle innumerevoli saghe dedicate al culto vampiresco iniziato dalla Meyer con Twilight, oggi all’ultimo capitolo in attesa per l’uscita in sala in quel di Novembre. La nuova eroina è servita a dovere (Jennifer Lawrence, alias Katniss), moderna Cenerentola con la Sindrome di Robin Hood, immolata al gioco crudele per salvare la sorellina dodicenne, estratta dalla Lotteria che declama i Tributi, elargiti con cinica sobrietà televisiva, degnamente caratterizzata da Stanley Tucci (il conduttore Caesar Flickerman). Un apocalittico Reality Show dove i partecipanti ne possono solo uscire realmente sopravvissuti (complici le traversie Made in Italy offerte dalla RAI?), e sotto gli occhi di uno spettatore pagante (noi) che contuiniamo a chiedere sempre di più. La morale cinica di uno spettacolo circense interattivo, dove gli SMS che decretano le nomination sono veri e propri doni di cibo che “aiutano” i partecipanti a proseguire alla loro stessa autoeliminazione. Morte e Romanticismo sono, dunque, i principi animatori di questa giostra psichedelica, orchestrata dal regista, che allunga le mani “a più non posso”, tra gli stessi istrionismi cromatici offerti da Buz Luhrmann nel suo “autentico” Romeo+Giulietta, immergendo Lenny Krevitz (Cinna), Donald Sutherland (Presidente Snow) e lo stesso Woody Harrelson (l’anima redentrice Haymitch), in questa “aberrante” love story a lieto fine, dove il male viene sempre punito e l’esito è un risultato ambiguo di quella stessa equazione. Chi sarà la prossima vittima?

 Paolo Vannucci

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