QUELLA PICCOLA BASTARDA |
Alessandro Acerbi stava appoggiato al solito bancone elegante di un bar di Piazza del Duomo. Aveva ordinato un espresso e non riusciva a distogliere lo sguardo dai volti fuggenti di chi entrava e usciva dal locale. Gente sconosciuta, senza famigliarità acquisita da quell'assidua frequentazione che aveva maturato sin da quando aveva preso una casa nel centro di Milano. Ed erano passati ormai cinque anni, praticamente una vita, visto che ne aveva ventinove. Faceva l'attore, e con successo. D'altronde la determinazione non gli era mai mancata. Suo padre faceva l'assicuratore e sua madre l'insegnante di lettere. Una bella famiglia, anche se il cruccio di essere figlio unico lo aveva sempre fatto sentire un figlio incompleto. L'idea di un fratello o di una sorella maggiore o minore, per lui non aveva importanza. Gli bastava l'idea di poter aver avuto un appoggio morale fraterno quando poteva servirgli. Ma di problemi esistenziali non ne aveva mai avuti, e di questo ne andava fiero. Si era sempre sentito sicuro di se. Soprattutto del suo aspetto. Alto, longilineo, occhi chiari e capelli scuri. Per lui era stato facile inserirsi nel mondo della moda. I primi servizi fotografici per quei cataloghi di abbigliamento, con cui si era pagato la scuola di recitazione a Firenze, la città in cui era nato e cresciuto. Il salto di qualità, arrivato grazie al suo agente, nel suo primo ruolo importante. Una serie di venti episodi trasmessi dalla RAI. Chi l'avrebbe mai detto. Ma non l'aveva mai considerata fortuna. Sapeva di essere destinato a qualcosa di unico e oggi gli sforzi lo avevano decisamente premiato. La vita è un succedersi di eventi di cui si è gli unici artefici, questo aveva sempre pensato.
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