VINCENT CASSEL & LèA SEYADOUX |
Motion capture e atmosfere “dark” prese
in prestito dal cinema di Coppola, per una
delle favole più celebrative della letteratura europea, nel remake francese de La Bella e la Bestia.
“Al cuor non si comanda”... così sembra aver pensato il regista Christopher
Gans, audacemente responsabile di aver riproposto una delle favole più care
all’immaginario fantasy di ogni età, nel romanticismo gotico di cui ne è consapevole, reduce da Il patto dei Lupi e il meno attinente Silent Hill, per aver voglia di immergere lo spettatore nella più
classica delle fiabe per i facili palpiti di ogni palato intenditore, anche se
la strizzata d’occhio al culto storico di Stoker rivisitato da Coppola non
sembra distorcere il naso ai più esigenti, facendone virtù nei ricercati
costumi cuciti addosso a un Vincent Cassel ormai abituato a simili prodezze in
punta di piedi, visto che già Walt Disney ha saputo rigenerarne una delle prime
versioni in computer grafica degne di attenzione, considerando che parliamo del
‘91 e di Motion capture non se ne sapeva praticamente nulla. Non possiamo di
certo tralasciare il film d’animazione russo diretto da Lev Atamanov, siglato
1952, impastato di quella tradizione che ha saputo attingere nel folklore dal
cui paniere si impastano proseliti di facili consensi, per passare da film
minori che hanno avuto il merito di intercalare attese che hanno saputo
accontentare il pubblico di ogni età, citando il remake diretto da Fielder Cook
sul finire degli anni settanta, per un’attesa lunga circa un decennio che ha
saputo arricchire il canestro delle delizie, almeno nel palinsesto televisivo
made in USA, con un paio di interessanti produzioni che hanno elaborato
l’immaginario degli sceneggiatori, attenti a miscelare messaggio e spirito
d’improvvisazione. Cominciamo con la prima (entrambe prodotte dalla CBS),
trasmessa dal 1987 al novanta, tecnicamente e stilisticamente una delle più
fascinose trasposizioni del culto originale, trovando nella scelta degli
interpreti la giusta alchimia interpretativa che ha saputo alimentare il
fascino della fiaba originale. La storia di Catherine e Vincent, lei avvocato
(Linda Hamilton) e lui bestia (Ron Perlman) padrone dei sotterranei cunicoli
della metropolitana New York, dove il pregio della serie rimane proprio nella
filosofica battaglia interiore tra il bene e il male, in quel popolo diviso tra
lo spirito di conservazione puro e il consumismo che tutto fagocita senza
lasciare respiro, confondendo i tratti di quell’amore che sublima lo spettatore
proprio per l’essenza stessa da cui è concepito. Un uomo metà Leone, nel cuore
e nell’istinto, capace di aiutare il prossimo sollevato dalla presenza di
quell’amore corrisposto, carnalmente e spiritualmente. Stessa sorte tocca alla
recente versione trasmessa dal 2012, figlia dei nostri tempi, in quelle dispute
internazionali che fanno di necessità virtù, confondendo gli esperimenti
scientifici con l’essenza stessa di quei conflitti etnici che sembrano non aver
nulla di logica umanità. Di tono più “tiepido”, i momenti che vogliono saper
sottolineare le atmosfere calde di un amore impossibile rimandano il sequel
come continuazione ideale della precedente, ricalcandone i nomi con qualche
variante nella sceneggiatura, passando da avvocato ad agente di polizia per la
Bella Catherine (Kristin Kreuk), e da latente paladino sotterraneo a corpo
speciale dell’arma per la Bestia Vincent (Jay Ryan). Tutto a favore di
quell’odierna trasposizione che deve tutto al fascino originale del musical
made in Disney, miscelando cartoon e quel pizzico di originalità affidata
all’interpretazione di Cassel e la bella Lèa Seyadoux, per un amore che non
conosce confini...
Paolo Vannucci
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