
Effetti speciali e atmosfere “prese
in prestito” dal cinema di Gilliam e Barton, per una delle favole fantasy più celebrative della
letteratura di Baum, nel Il Meraviglioso Mago di Oz.
Mamma
mia!... non vi preoccupate, non stiamo parlando del musical diretto da Phyllida
Lloyd (si proprio quello, con una Meryl Streep che duettava con le pirotecniche
canzoni degli Abba) e nemmeno della “recente” versione voluta dal Re del pop
Michael Jackson, con una virginale Diana Ross alle prese con mattoni gialli e uomini di pezza (I’m Magic / The Wiz), perdipiù diretta
da Sidney Lumet. Stiamo parlando di un riassaggio disneyano ad opera d’arte,
“purtroppo” preceduto da un recente viaggio colorato da Tim Burton,
impreziosito da un Cappellaio d’eccezione, nella chioma arancio di Johnny Depp
e uno Stregatto (che più stregatto non si può) nelle spirali della computergrafica
in 3D. Facciamo un passo indietro, cominciando dal pionieristico Barone diretto
in primis da George Méliès, quel Munchausen illustrato a fine ottocento e
remixato da un Terry Gilliam, vestito dai Monty Python e condito in salsa Lewis
Carroll. Penso che ci si possa accontentare di tanta magistrale cinematografia
dai presupposti letterari. Ma, ovviamente,
non per la Disney, che ha pensato bene di assumere Sam Raimi,
trascinando nella magica tela anche James Franco, meravigliosamente mago nei panni
di Oscar Diggs, intrepido illusionista che abbandona il mondo reale (un circo
nella polverosa Kansas) per trovarsi scaraventato in mongolfiera, nella città
di Oz. Se pensare di essere grande può essere impresa di non poco conto, a
rammentarlo ci pensano tre ammalianti streghe che diffidano il saccente mago
agli occhi del popolo, e per questo compito sono state investite di poteri le
conturbanti Mila Kunis (svezzata dall’orsacchiotto Ted, per il ruolo di
Theodora), Michelle Williams (Glinda e il doppio ruolo della proverbiale
compagna Annie) e Rachel Weisz (in mummifiche riesumazioni da Evanora), solo
per farlo diventare umanamente un Mago migliore. Se Victor Fleming aveva dato
il meglio di se con una Judy Garland in treccine e grembiulino, abbracciando un
leone senza coraggio (Bert Lahr), un uomo di latta senza cuore (Jack Haley),
uno spaventapasseri senza cervello (Ray Bolger), per un mago che non è quello
che sembra... allora possiamo toglierci tanto di cappello, al cospetto di un
ennesimo prequel sotto il libero arbitrio degli autori Mitchell Kapner e David
Lindsay-Abaire, tratto ovviamente dai 13 racconti di L. Frank Baum, autore
anche di tre cortometraggi girati dal 1913 al 14, considerando anche una prima
bobina del 1910. Se la meraviglia non è
un’opinione, possiamo solo immergerci in questa “originale” scenografia di
Robert Stromberg, dove gli effetti speciali devoti al 3D assorbono
l’espressionismo tedesco, chiave di lettura che legava le opere di G. Dorè e lo
stesso Lewis Carroll, diventando il virtuosismo grafico che può
“vertiginosamente” strabiliare nella buffoneria esorbitante in cui Terry
Gilliam ci aveva introdotto. Le architetture metropolitane nebulizzate in
colorate aurore, già decantate nella celeberrima “Over the Rainbow” premiata con
l’Oscar nel ’39, assumono un valore di ineguagliabile potere evocativo, non
potendo non citare l’analogo Parnassus –
L’uomo che non poteva ingannare il diavolo, sempre diretto da Gilliam nel
2009, in quel valzer “agrodolce” diventato la celebrazione postuma di Heath
Ledger, nei ruoli cameo affidati ai “sostituti d’eccezione” Johnny Depp, Jude
Law e Colin Farrell. Allora... non è tutto come può sembrare? Forse...
Paolo Vannucci
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