mercoledì 13 marzo 2013

CARLO VERDONE: LA CASA SOPRA I PORTICI... “il film più importante della mia vita”



Uno dei ritratti più intimisti e celebrativi del regista e attore Carlo Verdone, tra le pagine della sua biografia, intrisa di ricordi e devozione ad una famiglia del cinema italiano

La vita dell’attore, raccontata con la voce dei propri sentimenti, dedicato al padre Mario e la madre Rossana, ai fratelli... e a quella casa in via Lungotevere. 



Una casa paterna, in via Lungotevere dei Vallati 2, avvolta in quella spogliata malinconia tipica dell’attore romano che tutti conoscono, attraverso i film e i personaggi che lo hanno fatto diventare il regista comico che ha saputo raccontare l’italiano borghese, popolare e  “fraccicone”, proprio come il grande Albertone Sordi nazionale, che poteva spiare dalla finestra di casa sua, sin da ragazzino, prima di diventare il padre putativo cinematografico che tutti abbiamo apprezzato ne In viaggio con papà.  Lui è Carlo Verdone, romano verace e fiero di esserlo, con quell’ umiltà tipica dei propri personaggi,  maschera dell’italiano medio degli ultimi 50 anni  di Belpaese, attraverso la maniacale pignoleria di Furio, la stralunata ingenuità da bamboccione di Mimmo,  al fianco di Lella Fabrizi (insieme hanno girato Bianco, Rosso e Verdone e Acqua e Sapone), i capisaldi della propria comicità, scaturiti dal primo contenitore del moderno varietà televisivo di Enzo Trapani, Non Stop, nel palinsesto televisivo di Rai 2 del ’78.  Il Verdone che non lo ha mai abbandonato, sin dal pionieristico centauro su due ruote visto in Troppo forte, scritto e interpretato insieme a Sergio Leone, personaggio ripreso circa dieci anni dopo nel Gallo cedrone, girato nel ’98... coatto al punto giusto, proprio come i neosposi di Viaggi di Nozze, complice la fedelissima Claudia Gerini, nel monito de “lo famo strano” , voluta anche nel precedente Sono pazzo di Iris Blond, musicista nel nome di quella passione per la musica che non lo ha mai abbandonato, sin da quando ascoltava i 78 giri in vinile della madre Rossana, comprati con i soldi dati da zio Gastone (“I dischi non vanno conservati con le copertine, ma devono essere sistemati in pila l’uno sopra l’altro... che stronzata colossale!”), mentre col tempo, nelle pareti della sua stanza, ci appendeva i poster dei Pink Floyd, dei Beatles e di Hendrix... a cui ha dedicato un altro frammento della propria personalità, nei panni di Bernardo Arbusti, critico musicale ipernevrotico e con la sindrome dell’analista nel Maledetto il giorno che t’ho incontrato,  al fianco di Margherita Buy, sceneggiato con un io narrante che ricalca fedelmente l’introspezione soggettiva dell’attore, molto simile al libro odierno. Una vita di ricordi, di amori e di amicizie, tra il primo trauma subito per la perdita del nonno materno Aldo (“aprivo la mano e lui vi posava i due dobloni, poi mi dava un’affettuosa carezza prima che fuggissi a mangiare quei buonissimi cioccolatini”), alla conoscenza sui banchi di scuola di un giovanissimo Christian De Sica (il suo personale “Grande Freddo” con Compagni di Scuola), corteggiatore di una tredicenne Silvia, sorella dell’attore, passato sotto il severo permesso di papà Mario (“è soltanto un pallonaro”), per poter ufficialmente frequentare la donna che sarebbe diventata la moglie di oggi (sua è la dedica di Io e mia Sorella, al fianco di Ornella Muti). Oggi, quella casa paterna la guarda dal di fuori, vuota di tutto ciò che un tempo è stata la loro famiglia, “lontana, per certi versi estranea”, come una foto del suo volto, “giovane, con i capelli leggermente lunghi, ignaro del futuro che lo attendeva”.   

Paolo Vannucci 

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