La Genesi firmata dal creatore Ridley Scott, per ridare autenticità al classico di fantascienza più cult di Hollywood
Il ritorno dell'Alieno di Ripley e soci, nella versione originale del regista che ha riscritto la fantascienza d'autore.
Anno 1979. Dieci
anni dopo che l’uomo scoprisse la prima grande “roccia bianca” chiamata
Luna, il sogno fantascientifico di ogni astronomo e scrittore,
rigenerando le aspettative sulla vita fuori dal pianeta Terra,
cominciando ad abbandonare la caratterizzazione atipica dell’alieno e
sensibilizzare un’angoscia più umana dell’ignoto e dell’infinito. A
fare di tutto questo un capolavoro della cinematografia ci pensò Ridley
Scott, magistrale nel mixare Fantasy e Horror in un thriller
fantascientifico che consacrò una giovane Sigourney Weaver come
androgina portatrice di quell’essere combattuto e protetto (impeccabile
Ian Holm, nella inedita impersonificazione dell’intelligenza
artificiale, tra acidi lattici e DNA), in quell’essere tecnologicamente
animato da Carlo Rambaldi, superando se stesso dopo il “primo contatto”
battezzato da Spielberg e il Kong pre-11 settembre, dove John
Guillermin sostituì l’Empire State Building con le monolitiche Twins
Towers. Scenografie e tensioni riprese da James Cameron nel suo Aliens-Scontro Finale,
sette anni dopo una conclusione che non presagiva alcun sequel, almeno
nelle intenzioni di Ridley Scott, che si è visto “rubare” il testimone
ben cinque volte, in oltre trent’anni di fantascientifica carriera,
passando da un terzo capitolo “religiosamente” emarginato in un ghetto
da ergastolani dello spazio (sei riscritture di una sceneggiature
diretta da David Fincher, per arrivare all’addio di Ripley nel quarto
episodio dedicato al genoma umano dispensato nella clonazione. Nel
2004, una svolta commerciale per giovani smanettoni da videogames,
iniziati dal regista Paul W.S. Anderson, ospitando un inconsueto Raoul
Bova, nel primo di due parentesi poco edificanti (Aliens Vs. Predator 1 & 2)
rispetto al valore originale dell’autentico progetto, oggi ripreso
dallo stesso Scott, in un vero e proprio prequel, come riferimento alle
origini della razza aliena. Un viaggio da Stargate, per omologare un
rituale voluto dalle civiltà fondatrici del genere umano, ribattezzate
“Ingegneri”, per annoverare filosofie celebrate da Kubrick e miti
aztechi in templi religiosi, elargiti dalla presenza comprimaria di Guy
Pearce (Peter Weyland, il presidente dell’omonima compagnia
finanziatrice del progetto Prometheus, la nave spaziale), in un soggetto già elaborato nel film diretto nel 2002 da Gore Verbinski e Simon Wells nel The Time Machine,
giovane scienziato inventore della prodigiosa macchina, tra citazioni
devote al codice Da Vinci e cultura primitiva da primordiali evocazioni
dell’horror. Alterego di un ritrovato androide nel compassato David (a
cui Bishop deve tutto), nell’inarrestabile Michael Fassbender, la cui
sorte ripercorre inalterata la matrice dei predecessori, accomodante
assistente di una “rivisitata” Ripley, nella ricercatrice Elizabeth
Shaw (l’attrice Noomi Rapace), portatrice finale di un rinnovato rito
perpetuato dalla inalterata razza Aliena. Fotografia di Dariusz Wolski
e montaggio di Pietro Scalia, per questo sogno criogenico offerto
dall’unico regista che poteva celebrare un autentico mostro sacro della
fantascienza d’autore... e noi non possiamo che ammirarlo!
Paolo Vannucci
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