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DICINEMA: DEMI MOORE |
Un
viaggio nello star system mondiale, per conoscere gli attori e i
registi che hanno rinnovato l’ultima generazione di miti in
celluloide
Dramma,
commedia e psichedelica
pop per una delle attrici più versatili dell’ultima generazione
hollywoodiana, nel talento carismatico di Demi Moore.
Non
è facile farsi largo nell’alcova delle dive patinate della mecca
del cinema, soprattutto quando esserlo significa rinunciare ad una
parte di vita privata che forse è più facile distogliere
dall’occhio ciclonico dei riflettori, per non spogliarsi di quel
clichè di eroina romantica che facilmente può accostarsi allo
stesso glamour che circonda l’enfasi di una personalità che si
accompagna alla fragilità di chi diva lo è sin dalla nascita, senza
contenziosi di parte. Demi Moore quella classe l’ha sempre meritata
e ostentata, nonché
pretesa, visto il nomignolo
Gimme
Moore affibbiatole
per l’onere di un cachè avidamente richiesto per le proprie
qualità esercite
con meritato talento di attrice. Nata a Roswell, l’11 novembre del
1962, la vita famigliare di Demetria (il vero nome per esteso è
Demetria Gene) è un difficile focolaio fatto di continui spostamenti
e traslochi, per seguire un padre adottivo affibbiatole
per la separazione dal suo biologico, terminato con un suicidio per
mano di un tubo di scarico. Sposatasi giovanissima (appena
diciottenne), dopo una crisi esistenziale che l’ha vista divorziare
precocemente da un infelice matrimonio di cui si è tenuta il cognome
del marito musicista Freddy Moore, la carriera di Demi ostenta a
decollare, passando da felici produzioni per teenager in cerca di
consensi generazionali alle serie televisive del calibro di
General Hospital ,
per avviare quel successo pronosticato con le riuscite
interpretazioni di St.
Elmo’s Fire e A
proposito della notte scorsa...,
comprimaria di un consistente nucleo di giovani leve del calibro di
Rob Lowe, per arridere a quel successo con il più altisonante remake
di Non siamo Angeli,
complici gli stessi Robert De Niro e Sean Penn in chiave umoristica
rivisitati dal regista Neil Jordan. Abbandonati i panni di madre dai
facili costumi, il successo e la conferma arrivano con Ghost,
al fianco di Patrick Swayze e diretti da Jerry Zucker, in quel
melenso contenitore commerciale di facile presa che spiana il cammino
dell’attrice in quella esuberante decade degli anni novanta che la
vede prepotentemente protagonista,
passando da Codice
d’Onore (ottimo
Jack Nicholson che ruba la scena a Tom Cruise) all’esuberante
triangolo di Proposta
indecente (Robert
Redford e Woody Harrelson i due pretendenti) diretto da Adrian Lyne
come ostentato falò delle vanità che rasenta il sublime. Riuscito
il ruolo di Hester nella riedizione de La
Lettera scarlatta
di Roland Joffè, per peccare di quell’audacia esuberanza che la
contamina come Razzie Hawards per le infelici scelte di Striptease
e Soldato Jane
(diretta da Ridley Scott). La stella di attrice viene offuscata dallo
spazio a cui Demi riserva per le traversie coniugali private che la
vede sposata per un lungo periodo con l’attore Bruce Willis e dal
quale ha tre figlie (nonché
fondatrice della catena di ristornati per celebrità Planet Hollywood
insieme al marito), per arrivare al divorzio risolto inizialmente
con una unione turbolenta con il giovane (di quindici anni rispetto
all’attrice) Ashton Kutcher, anch’esso finito recentemente con la
medesima risoluzione del contratto matrimoniale. Incursioni recenti
di successo cinematografico rimangono
l’episodio di Charlie’s
Angels e il semi
biopic Bobby,
sull’inedita interpretazione dell’attentato di Robert Kennedy.
Paolo Vannucci