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Bill Murray (DiCinema: la nuova Hollywood) |
Ilarità e commedia disimpegnata, per
uno dei volti più popolari della comicità americana, nel talento di Bill Murray.
Quando
essere comici può bastare a valorizzare un estro di artista che vale
esclusivamente nell’essere “fieramente” capace di far ridere: Bill Murray.
Claudicante star in ascesa del solito, celebrato SNL, subentrato nella
programmazione televisiva grazie all’uscita di Chevy Chase, quel giovane comico
dell’ Illinois, nove fratelli e genitori di modeste origini irlandesi, abdica
inzialmente gli studi di medicina per intraprendere quella carriera di attore
che lo ha visto debuttare in teatro per passare da quell’amicizia con lo stesso
artefice di quel successo chiamato Ghostbusters
(vero alfiere del programma statunitense), in quel di Dan Aykroyd. Diretti
da Ivan Reitman, comprimario lo stesso Harold Ramis che lo ha voluto dirigere
nel riuscito Ricomincio da capo, felice
commedia nei paradigmi temporali affidati alla comicità estrema, con Andie
MacDowell ad addolcire le ansie di uno scapestrato giornalista in fuga dal
tempo. Un’affermazione cinematografica avvenuta nel pilot di Stripes – Un plotone di svitati, per
approdare nel cast stellare di Tootsie,
spalla di un Dustin Hoffman ricordato per sempre nelle transgeniche fattezze di
una “insolita” primadonna da soapopera. Il tocco di Frank Oz non affievolisce
la valenza di Murray (Tutte le manie di
Bob), accostandolo ad un Richard Dreyfuss che arride alla stessa valenza di
Robert De Niro nel successivo Lo Sbirro,
il Boss e la Bionda, insolito cocktail prodotto da Martin Scorsese, con un
triangolo avvalorato dalla stessa Uma Thurman, in prossimità degli esordi. Un
ritmo di testata comicità, sospesa a metà degli anni ottanta per affinare le
capacità recitative, plasmate nell’analogo S.O.S
Fantasmi (Scrooged), rivisitazione del classico dickensiano affidato
all’esperto Richard Donner, sublime monolgo raffinato di Murray, che stupisce
tanto quanto la celebrazione di Shakespeare nell’insipido Hamlet 2000 (colpa di Baz Luhrman?), incolore opera moderna di
Michael Almereyda, quasi a sfatare lo stesso mito nell’analoga operazione pop
voluta per il restyling cinematografico di un’icona televisiva statunitense,
nel trio formato da Cameron Diaz, Drew Barrymoore e Lucy Liu, nel Charlie’s Angels diretto a due riprese
(suo anche il sequel) da McG. Una verve comica che ha smaltato la scorza di una
più matura valenza di attore “invecchiato” a dovere... ma che continua
inesorabilmente nella sua elegante performance di abile giocatore (il golf, la
sua passione, a cui ha dedicato un libro, Cinderella
Story: My Life in Golf), in quel campo che ne ha decretato “buche e
ostacoli”, ma sempre vincitore.
Paolo Vannucci