domenica 28 agosto 2011

Natalie & Portman sulle ali del “Cigno Nero” di Darren Aronofsky


A diciassette anni dall’esordio di Leon, il ritorno al thriller di una ex-bambina prodigio, sulle note del “Lago dei Cigni” di Tchaikovsky

Rivisitazione in chiave noir del celebre compositore russo, tratto dal romanzo fantasy originale di Mercedes Lackey.

Che i film basati sulla danza siano terreno fertile e felice, non è una novità per il riscontro di botteghino oramai collaudato dal cinema americano, annoverando schiere di teen-ager, incantati e sublimati dalla danza in chiave musical, vedi i recenti Step Up diretti in due episodi da Anne Fletcher e Jon M. Chu, abdicando il postmoderno Hip Hop per riappropriarsi della cultura classica a cui la danza effimera resta abulicamente ancorata, per voglia e tradizione. Denunciando un pallido tentativo di misticismo oscuro del maestro del brivido Dario Argento nel suo Opera, dove la ribalta vede sempre protagonisti conflitti edipici nel nome del prosaico romanzo scritto da Gaston Leroux, Il Fantasma dell’Opera, debutto cinematografico del ’25 di Rupert Julian e innumerevoli trasposizioni a seguire (citiamo l’omonimo del maestro Brian De Palma, Il fantasma del Palcoscenico, girato nel ’74 e con un cinico appellativo Swan nel conflitto musical-rock-psichedelico di un discografico che deturpa un musicista per avidità), oggi tocca a Darren Aronofsky riarrangiare uno dei temi più ambiti nel nome del thriller psicologico di “ampie vedute”. La storia è firmata Andres Heinz, sul romanzo originale di Mercedes Lackey uscito un decennnio fà e sceneggiato assieme a Heyman-McLaughlin, sapientemente riveduta e ricucita per l’attrice Natalie Portman, cresciuta studiando “sulle scarpette a punta” e perfetta per incarnare il clichè della fragile personalità sposata al dramma vissuto dalla protagonista Odette dell’opera originale, a sua volta tratta da una fiaba tedesca, Der geraubte Schleier (Il velo rubato), sulle note del celebre balletto musicato in quattro atti del compositore russo Peter Tchaikovsky. Un inedito triangolo vestito di contemporaneità, dissacratorio nel ruolo di Thomas Leroy, moderno Siegfried, coreografo regista dell’opera stessa che deve mettere in scena, conteso dalle due prime ballerine Nina e Lilly (Mila Kunis), nello sdoppiamento di personalità che la Portman affronta dall’odio riversato nella rivalità con la propria antagonista in amore, nella surreale trasfigurazione che la porta a debellare i propri conflitti interiori, nati dal rapporto morboso e bulimico con la stessa madre (Barbara Hershey). Fotografia di rito ad accompagnare il ritmo claustrofobico della storia, firmata Matthew Libatique sulle scenografie di Thérése DePrez, per un film drammatico che riporta la Portman ai propri meriti, vincitrice di un meritato Golden Globe come miglior attrice protagonista (in aggiunta a vari analoghi riconoscimenti, tra i quali il BAFTA 2011 e l’AUSTIN FILM CRITICS ASSOCIATION), senza tralasciare il premio Marcello Mastroianni dato a Mila Kunis alla 67° Mostra del Cinema di Venezia, di cui ne ha aperto la manifestazione, mentre attendiamo impazienti la consacrazione sulla ribalta al galà degli OSCAR.

Paolo Arfelli

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