martedì 10 marzo 2015

CIO’ CHE INFERNO NON E’


CIO' CHE INFERNO NON E': Alessandro D'Avenia

Terzo libro dello scrittore siciliano, nel viaggio intimo di una Palermo vissuta nelle sue aspre contraddizioni, attraverso gli occhi del giovane Federico e padre Pino Puglisi

Alessandro D’Avenia racconta la propria adolescenza in un omaggio ad una Sicilia che non sà dimenticare.

“Dove sei tu che puoi cucirmi l’anima silenziosamente? Ragazza piena di luce, puoi tu rammendare un ragazzo fatto di vento? Io cerco il tuo nome, benchè tu non l’abbia” 
Federico è fatto di benchè... diciassette anni colorati da una poesia che lo fa sentire sicuro in quel mondo scolastico rappresentato da quel liceo costruito sulle parole del Petrarca, di Dante e di tutti quei poeti che lo fanno sentire utile, in un mondo ancora incerto ma che ha un porto sicuro che è la sua famiglia, i suoi genitori e il fratello Manfredi...
“I maschi risolvono così le vertenze: è una cosa che le donne non capiranno mai. Senza mio fratello sarei soltanto un’ipotesi di maschio”
E’ per questo che Federico si ritrova in un campetto di calcio malmesso, in quella parte di città che tutti chiamano Brancaccio, frequentato da ragazzi così diversi da lui, con una rabbia interiore che non conosce ma che identifica con quella testardaggine che ha sempre associato alla voglia di scoprire la vita, come i suoi poeti dannati che declamano amore e maledivivere... oppure quelle letture giovanili che si devono leggere per non essere nessuno. Come dice il suo “3P”, il professore di religione padre Pino Puglisi, quell’uomo che Federico scopre di giorno in giorno, portandolo ad avvicinarsi a quel mondo fatto di nomi nuovi... Francesco, Maria, Dario, Serena e Totò... uniti da un pallone che vogliono calciare alto nel cielo, oltre le nuvole... oltre il Cacciatore, ‘u Turco, Madre Natura. Lui, arbitro di una partita molto più grande della sua età, che gli procura un labbro rotto e una bicletta rubata. Ma Federico non vuole rinunciare a quel prete che gli ha fatto conoscere una realtà che sino a quel momento poteva essere solo quell’ostinazione che ha sempre conosciuto come dignità, molto più matura dei cartoni animati giapponesi che guarda alla televisione con suo fratello. Per questa nuova asprezza ha rinunciato al mese in Inghilterra, dimostrando a suo padre di essere cresciuto... almeno quel tanto che basta per essere responsabili delle proprie azioni, proprio come vuole quell’altro padre, il prof di religione. Lui le scatole le rompe... si consuma le nocche sugli usci di quella burocrazia che sembra oscurata da quel male che tutti chiamano Cosa Nostra.  Ma Federico ha imparato la più importante delle lezioni... “perchè il solo lievito per un cambiamento possibile è nascosto tra le mani di chi apre orizzonti dove il destino prevederebbe violenza e desolazione”.
“L’inferno non esiste. E se esiste è vuoto. Dicono. Vivono forse in quartieri con giardini e scuole . Ignorano. L’Inferno sono gli enormi palazzi di cemento, alveari screpolati e abbandonati dalla bellezza, che fanno di cemento l’anima di chi li abita. L’Inferno si annida nei sotterranei di questi palazzi stipati di polvere bianca tagliata alla meglio e carne umana in saldo. L’nferno è fame mai soddisfatta di pane e parole. Inferno è un bambino sfregiato da fuori verso dentro, dalla pelle fino al cuore. Inferno è il lamento degli agnelli accerchiati dai lupi. Inferno è il silenzio degli agnelli sopravvissuti.
Ciò che inferno non è”   

PaoloVannucci

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