lunedì 30 novembre 2015

CINENATALE 2015: il ritorno della 'Saga'

CINENATALE 2015
Mentre la Disney apre con il preludio di novembre, la commedia di Lillo e Greg sfida la 'Forza' di J.J. Abrams

Il Cinepanettone firmato da Volfango De Biasi e la commedia di Pieraccioni si impegnano nel dirigere le strenne natalizie di fine anno.

Se era impossibile pensare ad un Natale senza l'interminabile saga “guidata” da Peter Jackson, non c'è hobbit che possa deturpare il proverbiale riciclo di idee che ha portato lo stesso J.J. Abrams a firmare la rinascita della stirpe dei Jedi, in quel trittico firmato in sei capitoli precedenti che hanno sancito un lascito di fantascienza liberty iniziata con il capostipite Star Wars del settantasette, diretto da un trentenne in vena di prodezze che risponde al nome di George Lucas, padre incontrastato di una delle saghe cinematografiche più colossali che possiamo vantare, non solo per la tematica dispotica riversata nel contrasto dei personaggi, ma grazie a quella miscela di artigianalità tradizionale che non ha per nulla nuociuto alla riuscita di un prodotto commerciale che ha saputo rinnovarsi mantenendo fede a quei feticci che sono il risultato di una devozione quasi maniacale per i fan più accaniti dell'intera serie. Tutto questo alla vigilia del passaggio stesso della Lucasfilm alla Walt Disney Company, avvenuto nel 2012 e che ha decretato il potere messo nelle mani di un regista che ha risollevato le stesse sorti di un moderno restyling di Star Trek in quel nuovo mostro sacro che risponde al nome di J.J. Abrams. Quindi tutto riparte da dove avevamo lasciato Luke Skywalker e soci, dal lontano Il ritorno dello Jedi, per ritrovarli attempati e sempre determinati nei loro ruoli, introducendo due giovani “promesse” in Rey (l'attrice Daisy Ridley) e Finn (John Boyega), quest'ultimo nelle problematiche vesti di uno stormtrooper dell'impero che diventa l'erede dello stesso Skywalker. Uno dei più attesi film di sempre, che nei suoi nuovi tre capitoli deve dimostrare di essere quella solida risorsa che mantiene le aspettative firmate dalla Industrial Light & Magic e, soprattutto, dalla supervisione di un George Lucas che non può ammortizzare l'evoluzione stessa della storia che tutti conosciamo.

Lillo e Greg, Leonardo Pieraccioni e la Disney-Pixar...


Di cinepanettone non se ne può proprio fare a meno, e oggi a riproporlo in tutta la sua proverbiale ilarità nazionalpopolare ci pensa nuovamente la coppia comica formata da Lillo e Greg (Natale col boss), accompagnati da un irrefrenabile Paolo Ruffini (non in veste di regista) e un problematico Francesco Mandelli (separato in casa da I soliti Idioti), oggi pronti a tenere alta la commedia italiana introdotta da Leonardo Pieraccioni col suo Il Professor Cenerentolo (Laura Chiatti e Massimo Ceccherini chiamati all'appello), mentre la Pixar ci immerge nelle zuccherose forme jurassiche de Il viaggio di Arlo. Auguri!

Paolo Vannucci

martedì 22 settembre 2015

Miss ITALIA 2015: la donna è mobile… e sempre più 'social'

MISS ITALIA 2015: ALICE SABATINI
Alice Sabatini incoronata da Claudio Amendola, mentre la manifestazione patrocinata da Simona Ventura “sbanca” sui social network

Una laziale torna ad indossare la corona di più bella d'Italia, tra Veneto e Campania a colpi di app.

Questa Italia 2.0 sembra aver contagiato la manifestazione più attesa di Settembre, a pari merito con il Festival del Cinema di Venezia, siglata da settantasei candeline portate benissimo. I meriti sembrano andare ad una conduttrice che ha saputo contagiare con la freschezza tipica della semplicità, condita dalla formula dei Talent che sembrano non dare più respiro. Gli ascolti di LA7 hanno però confermato un termometro “tiepido” che sembra voler rimandare alle edizioni battezzate da Mamma RAI, con un Frizzi che ci fa desiderare ancora quegli ospiti di prestigio che hanno sempre caratterizzato il buon livello di una vetrina che ha sempre parlato al cinema e alla televisione, vedi le recenti Miriam Leone e Francesca Chillemi, portatrici di un primato di successo che sembra proseguire, sempre a lieto fine. Simona Ventura ha cercato di mediare uno spettacolo che ha racimolato 965.000 spettatori, unendo gli ascolti di entrambi le reti; un dato che ha fatto pensare a quanto impegno può aver consumato le 33 aspiranti reginette, solidali a voler contagiare un paese forse annoiato da una ripetitività di scena, immersi in una atmosfera in punta di piedi, nel Pala Arrex di Jesolo per la terza volta, con la complicità degli ospiti che hanno allungato la serata. A cominciare dalla coppia Baby K e Giusy Ferreri, quasi solidali insieme a Morgan a mettere in evidenza un X Factor che ha saputo sconvolgere una manifestazione che vuole continuare a parlare “al popolo italiano”. Alice Sabatini, Letizia Moschin e Vincenza Botti (rispettivamente 1°,2° e 3°) hanno saputo conquistarci ugualmente e nonostante tutto, augurandoci che questa mania da social network non banalizzi un verdetto che vuole essere sempre nel nome della tradizione di classe.

Claudio Amendola, Vladimir Luxuria e Joe Bastianich… che tutor!


Sono stati i veri protagonisti della serata, animatori di una competizione che li ha visti padrini delle aspiranti al titolo di più bella d'Italia. Claudio, Vladimir e Joe, padrini di undici ragazze a testa, simpatici e accomodanti nella loro “ansia da prestazione”, sempre remissivi nel voler rinnegare i meriti a quelle ragazze che hanno dovuto eliminare, per arrivare alla vincitrice finale. L'attore, il cuoco e la transpoliticante… divertiti nei ruoli di giudici a tempo di comicità regalata da un Massimo Ferrero che ha saputo divertire il pubblico in sala… accostato alla coppia di Radio Kiss Kiss, Francesco Facchinetti e Pippo Pelo, in quel valzer di sobrietà ed eleganza che ha saputo incorniciare una serata che ha voluto regalare ancora una volta il volto di una ragazza che deve poter proseguire un rituale, come sempre dedicato alla bellezza.

Paolo Vannucci

venerdì 21 agosto 2015

DiCinema: la nuova Hollywood

Un viaggio nello star system mondiale, per conoscere gli attori e i registi  che hanno rinnovato l’ultima generazione di miti in celluloide 

Azione, comicità esilarante e glamour; le credenziali di uno degli attori più carismatici della commedia americana, nel talento di Eddie Murphy. 

DiCinema: EDDIE MURPHY
Se la comicità di successo, nel cinema, è quasi sempre stata una prerogativa dell’attore “bianco” (scongiurando qualsiasi forma di razzismo), nel precario equilibrio dato alla caratterizzazione estrema riposta nelle radici etniche... bene, chi si è cimentato in un simile ruolo importante, per facile presa di pubblico, ha sempre dimostrato quanto sia indispensabile miscelare carisma e talento per l’unico risultato richiesto: la risata... necessariamente di buongusto! Eddie Murphy (newyorchese classe ’61) di quella risata ne ha fatto un vero e proprio “marchio di fabbrica”, ringraziando un doppiaggio italiano riposto nel nostro Tonino Accolla (ormai soprannominato Simpson, per la gloria stessa del cartone animato statunitense in quel di Homer), debuttando precocissimo dal diploma al Saturday Night Live, per approdare al cinema con altrettanta irruenza e successo, cominciando dal battesimo di Walter Hill, 48 ore, in coppia con Nick Nolte (sempre suo il sequel diretto dieci anni dopo), per essere coinvolto dal grande John Landis nella scommessa più esilarante del cinema americano, nel fortunato Una poltrona per due, in coppia con Dan Aykroyd (Don Ameche e Ralph Bellamy di ottimo contorno). La consacrazione definitiva di pubblico arriva con il poliziotto Axel Foley, nel cult blockbuster che ha sconfinato in una dissacratoria trilogia (ottimi i primi due episodi, un pò fiacco e deludente l’ultimo ripreso da Landis), Beverly Hills Cop diretto da Martin Brest. Una parentesi in salsa Zen-Buddista, con il felice Il Bambino d’Oro, per riconfermare Landis nel primo valzer di personaggi interpretati da Murphy (niente fotoritocco virtuale, solo maquillage e comicità), Il Principe cerca moglie in coppia con un altro grande talento della televisione americana, Arsenio Hall. Stessa fortunata sorte nel plagiato Il Principe delle Donne (in originale Boomerang), con una dolce Halle Berry a reggere le sorti dell’esilarante protagonista, per approdare allo splatter Horror d’autore, in un Wes Craven “ammorbidito” dal carisma dell’attore, in Vampiro a Brookliyn, in coppia con Angela Bassett. Il susseguirsi di una comicità basata sulla mimica poliedrica, lo vede preconfezionato nei vari Il professore matto (il primo episodio diretto da Tom Shadyac) e Il Dottor Dolittle, fondamentalmente basati sulla tradizione cinematografica legata al ventriloquismo animale dalla facile risata, vedi un Francis e il Mulo parlante, rieditato dalla DreamWorks nella caratterizzazione di Ciuchino nella saga di Shrek, a cui Murphy ha prestato la voce nel fortunato doppiaggio.

Paolo Vannucci

domenica 14 giugno 2015

DiCinema: la nuova Hollywood

DiCinema: ARNLOD SCHWARZENEGGER
Un viaggio nello star system mondiale, per conoscere gli attori e i registi  che hanno rinnovato l’ultima generazione di miti in celluloide

Muscoli e cervello, nell’attore che ha caratterizzato uno dei cliché moderni di Hollywood, nelle doti di Arnold Schwarzenegger.  


Se il peplum è sempre stato il detentore di quel primato di cultura fisica che ha innalzato, nell’Olimpo dei “superpompati”, quel cospicuo gruzzolo di atleti che hanno saputo far prevalere la prestanza fisica a favore di quel cinema che ha portato autentici sconosciuti alle soglie del successo, possiamo passare da quei nomi che hanno alimentato il nostrano dozzinale, spopolando nei vari Ercole e Maciste che hanno messo in luce i vari Mark Forest, Gordon Scott e il promotore stesso di quella casta di nerboruti caratteristi, Bartolomeo Pagano, diretto in primis nel 1915 da Vincenzo C. Dènizot, portando uno scaricatore di porto diventato Capo Spedizioniere in quel di Genova, nel battesimo di una lunga serie nel nome dell’omonimo Maciste, a cui seguirono innumerevoli e dissacratorie parodie, che di certo non hanno scalfito gli estimatori del genere. Tutto questo a vantaggio di quel cinema americano che ha saputo indirizzare meglio il talento e le qualità dei nuovi bodybuilder votati alla macchina da presa, e senza dubbio l’austriaco Arnold Schwarzenegger ha saputo rivalutare un cliché che ha sempre demolito l’uomo dietro il divo celebrato nei soli muscoli. Di modeste origini, di indubbia velleità sportiva, intraprende l’attività di culturista a soli quattordici anni, incentivato da Kurt Marnul (Mister Austria) che lo porta al titolo nazionale a soli diciassette anni. Una dedizione alla cultura fisica che lo vede vincere il titolo di Mr. Universo nel 1967, a vent’anni, per conseguire la massima onorificenza per quattro volte, senza deteriorare il valore dell’istruzione che ripone in una laurea in economia e marketing. Ma è il cinema che stabilisce la prima carriera professionale di Arnold, trasferitosi negli Stati Uniti al finire degli anni sessanta, frequentando la palestra di Joe Weider, conseguendo il titolo di Mr. Olympia nel 1970, detenendolo per ben sei volte. Gli esordi d’attore lo vedono ripiegato in comparsate marginali e caricaturali, per avere il primo ruolo importante nel Ercole a New York, con lo pseudonimo di Arnold Strong. Ma è con il personaggio fantasy di Conan che consacra il definitivo esordio da protagonista, interpretandolo nel prequel diretto da John Milius e il successivo Conan il distruttore di Richard Fleischer, con Grace Jones a incorniciare un sequel dai toni più commerciali. Con James Cameron arriva il ruolo che lo ha plasmato nel suo stesso cliché, in quel Terminator che lo ha visto interprete nei primi tre episodi della serie, da Terminator 2 – Il giorno del giudizio (sempre di Cameron) e il terzo, con l’epitaffio le macchine ribelli, diretto nel 2003 da Jonathan Mostow, per arrivare all'odierna trilogia con Terminator Genisys . Marginale, rispetto alla stessa filmografia, rimane Commando, per tenere il battesimo di quel Predator che ha innescato vari sequel più o meno fedeli al progetto iniziale. Ivan Reitman lo accosta alla commedia nel riuscito I Gemelli (Twins) con Danny DeVito a fare da comprimario a tanta “prestanza comica”, per proseguire con il delizioso Un Poliziotto alle elementari (Kindergarten Cop), sempre del regista. Walter Hill lo “investe” con tanto di Colbacco, nella commedia Danko, al fianco di James Belushi, in piena distensiva guerra fredda del periodo Gorbaciov. Cameron non demorde, e impacchetta un innovativo live-action, come da sua tradizione, nel True Lies al fianco di Jamie Lee Curtis. Vera nemesi di attore rimane Last Action Hero – L’ultimo Grande Eroe, contenitore fantasy di personaggi che regalano interpretazioni di se stessi, a servizio dei nuovi effetti speciali. La seconda vita professionale di Schwarzenegger è riposta nella carriera politica, iscritto al partito repubblicano e insignito della carica di Governatore della California, con la revoca dell’uscente Gray Davis, battendosi per le facilitazioni sanitarie per le classi meno abbienti e le agevolazioni burocratiche per gli immigrati. Sposato con la giornalista Maria Shriver, nipote di John F. Kennedy, rimarchevole rimane la sua attività imprenditoriale, nel picco più celebrato nella famosa catena di ristoranti per Celebrity, Planet Hollywood, al fianco di Stallone e Bruce Willis, operazione risolta con “revoca di contratto”, felicemente dipartita nella rimpatriata degli stessi attori nel film I Mercenari. Una vita all’insegna della determinazione e dell’impegno, per un uomo che ha saputo coniugare culturismo e alto valore professionale, raggiungendo i posti più alti degli status sociali.

Paolo Vannucci

domenica 17 maggio 2015

Red Carpet tricolore per la 68° edizione del Festival di Cannes

68° Edizione FESTIVAL di CANNES
Edizione al femminile, con una Ingrid Bergman da ”madrina” per i fratelli Coen

Un cinema italiano dal respiro internazionale, con Nanni Moretti, Matteo Garrone e Paolo Sorrentino in concorso.

Dal 13 al 24 maggio sono svelati i film per una Palma d'Oro che mai come quest'anno è portavoce di un cinema che non solo vuole essere dedicato alla sensualità femminile, ma che mantiene le promesse di quella distribuzione che deve garantire una qualità all'altezza della forma. Una Bergman fotografata da David Seymour, per tutelare una prestazione recitativa che è iniziata con La tête haute di Emmanuelle Bercot. Una giuria d'eccezione presieduta da Joel e Ethan Coen, Isabella Rossellini, Sophie Marceau, Guillermo del Toro e Jake Gyllenhaal per citare i più accreditati, per valutare quei titoli che hanno il merito di redigere il meglio del cinema mondiale, sia per i film che concorrono che per chi funge da alto decoro alla manifestazione, anche se fuori concorso (vedi il film d'animazione Il piccolo principe del francese Mark Osborne). Mentre Charlize Theron sfila accompagnata dal partner Sean Penn, per quel Mad Max riproposto trent'anni dopo dallo stesso George Miller, Woody Allen può sfoggiare la sua nuova musa Emma Stone, dopo il piacevole esordio di Magic in the Moonlight e oggi fuori concorso con Irrational Man, al fianco di Joaquin Phoenix. Un cinema francese che si riversa su Marguerite et Julien di Valérie Donzelli e Valley of Love di Guilleaume Nicloux, a rivaleggiare l'egemonia statunitense rappresentata da The Sea of Trees di Gus Van Sant e lo stesso Macbeth di Justin Kurzel, coproduzione anglo-francese-americana.

Moretti, Garrone e Sorrentino alla conquista del mondo

Intimi, spettacolari, decorosi… non si sprecano gli aggettivi per un trittico tricolore che sembra abbia ricevuto nuova linfa da quell'Oscar tanto criticato per quanto portavoce dell'effimero che parla a nome di quello splendore de La Grande Bellezza. Paolo Sorrentino si ripropone con una qualità che vuole appianare le critiche esuberanti regalando una magia che parla al cuore, con Youth – La giovinezza, con un Michael Caine e un Harvey Keitel ad orchestrare un dialogo intimista con il senso della vita. Nanni Moretti ci tocca nel profondo con la sua introspezione improvvisata da una Margherita Buy (Mia madre) nel ruolo di una regista che si trova alle prese con il proprio attore (John Turturro) e una madre prossima alla morte (Giulia Lazzarini). Il meglio sembra toccare a Matteo Garrone, che ha entusiasmato il pubblico di Cannes con la presentazione del suo Il Racconto dei Racconti, favola ad ampio respiro tratta da Lo cunto de li cunti di Giambattista Basile, nei tre episodi interpretati da Vincent Cassel, Salma Hayek e Toby Jones.

Paolo Vannucci 

lunedì 11 maggio 2015

Il ragionier Fantozzi compie quarant'anni

AUGURI FANTOZZI... e sono 40!
Il tragico anniversario del ragionier perdente più di successo degli italiani

Paolo Villaggio e il tributo al personaggio che lo ha elevato tra i grandi attori italiani.
 
Deve essere dura attraversare otto lustri di belpaese, raccontandone le “umane disgrazie” di un piccolo, miserabile, impiegato di una città senza nome. Perché Paolo Villaggio il suo personale Fantozzi lo ha conosciuto davvero, perché è esistito, quando anche lui faceva l'impiegato presso la Cosider, diventata poi la Megaditta tra le pagine dei suoi innumerevoli romanzi di successo, imprigionato per sempre tra le drastiche traversie di un ragioniere qualunque, come un novello Italo Calvino perso tra i suoi mulini a vento. Dieci film iniziati con il proverbiale Fantozzi del 1975, diretto da Luciano Salce, per introdurre quelle macchiette che sono diventate patrimonio nazionale di un italiano medio che tanto caricaturale non è. Un successo che non lo ha mai abbandonato, come i compagni Gigi Reder (Rag. Filini), Anna Mazzamauro (Sig.na Silvani), Liù Bosisio e successivamente Milena Vukotic (la moglie Pina) e la mostruosa figlia Mariangela (Plinio Fernando), per passare il testimone a Neri Parenti che lo ha diretto sino a Fantozzi - Il ritorno e oltre, mentre le tracce dei personaggi televisivi che lo hanno fatto crescere artisticamente lo hanno disperso in quelle commedie parallele di un successo che “riscaldato” non si è mai meritato di esserlo. Complici lo stesso Lino Banfi e Renato Pozzetto, come ricordare lo stesso Gianni Agus di un Giandomenico Fracchia che si è ritagliato un posto speciale in quell'Italia in bianco e nero un pò kitsch e naif, tanto simile a quel professor Kranz e i suoi indivisibili cammelli di peluche, nel battesimo televisivo del 1968 con il programma Quelli della domenica.
L'addio a Fracchia per il cinema impegnato di Villaggio
La carriera seria di un comico di successo”, come si definirebbe oggi, tra i salotti televisivi di chi lo celebra con entusiasmo, per ricordare quella maturità di attore impegnato che lo ha fatto emergere in quell'umanità sprezzante e sognatrice che è parte naturale dell'attore genovese, cominciando da Mario Monicelli con L'armata Brancaleone, artefice di un sodalizio con Vittorio Gassman che lo ha portato sino alla commedia di Pirandello ne Il turno di Tonino Cervi. Per non tralasciare la chiamata di Federico Fellini ne La voce della Luna, in coppia con Roberto Benigni, tratteggiando un disimpegno nato nella Compagnia goliardica Mario Baistrocchi che lo ha plasmato per quei ruoli che nel neorealismo sembrano trovare la giusta identificazione, vedi i riusciti Io speriamo che me la cavo di Lina Wertmuller e lo stesso Camerieri di Leone Pompucci. Una vita assorbita dalle sue passioni, quella per la Sampdoria e per le amicizie che davvero contano e che non ti lasciano sino alla fine, per quell'amico fragile Frabrizio De Andrè, insieme per sempre.

Paolo Vannucci 

domenica 3 maggio 2015

MAD MAX: FURY ROAD

MAD MAX: FURY ROAD
Il riavvio di una trilogia firmata sempre dal regista George Miller, con un inedito Tom Hardy a riprendere il ruolo di Mel Gibson

Reboot in grande stile, per la saga che ha iniziato trent’anni fa il genere apocalittico reinverdito dalla Graphic Novel.  

Mad Max è tornato... ma quale vigilante  deve assumere i tratti del poliziotto postatomico che nel lontano 1979  fu del rimpianto Mel Gibson è presto svelato. Reduce da una ineguagliabile trilogia rilasciata da papà Frank Miller, Tom Hardy si ritrova oggi buono e bello, alle prese con inseguimenti e cervelli deteriorati da una visionaria pazzia che si consuma tra le polverose strade di un Medioevo truculento dedicato solo ai grandi eroi... fuori di testa lo aggiungiamo tranquillamente noi, con il benestare del regista George Miller, lo stesso che ha iniziato la prima trilogia che ha fatto la fortuna di un genere ripreso dallo stesso Ridley Scott per il suo Blade Runner, e le somiglianze non si sprecano. Tutto ha avuto inizio con Interceptor (Mad Max), primo capitolo del regista australiano, fedelmente devoto a quel feticcio di attore che ha saputo rappresentare quel nuovo concetto di violenza gestita da riprese turbolente impastate di motociclisti semimutanti e di una trama rilasciata da quelle letture per ragazzi che attingono da una fantascienza reinventata a dovere. Olocausto è sempre stata la parola magica che ha aperto un mondo di distruzione che ha preso in prestito le lande desertiche della stessa Australia per farne un mondo di antieroi pronti a uccidere senza causa (Interceptor – il guerriero della strada), grotteschi nella maniacale ripetitività di sequenze che devono tutto il loro fascino alla stessa colonna sonora a cui fanno riferimento. Qui entra in causa il terzo episodio girato nel 1985, Mad Max oltre la sfera del tuono,  dove una grintosa Tina Turner si vede chiamata in causa per il ruolo della regina Auntie, madrina di quel duello perpetuato in sfavore del protagonista alle prese con il signore della città sotterranea di Barteltown. Un protagonismo ripreso oggi da una adeguatissima Charlize Theron nel ruolo di Furiosa, tra protesi e incarnazioni di un gene ribelle che seduce  con lo stesso ritmo di un fumetto da intenditori, nella visionaria distruzione di un Gimenez dai tratti seducenti, complici le eterne pianure australiane care al regista, miscelate dai deserti sudafricani dei Cape Town Film Studios. La giostra del futuro è nuovamente allestita a dovere, per riprendere Max Rockatansky laddove lo avevamo lasciato e sappiamo tutti che dover eguagliare un personaggio che ha sempre avuto un debito con la fisicità di Mel Gibson non è impresa tanto facile e scontata per il nostro Tom Hardy. I presupposti per non far rimpiangere nulla partono tutti da George Miller, camaleontico regista che ha saputo reinventare generi al ritmo di Happy Feet o lo stesso L’Olio di Lorenzo, sapendo gestire situazioni completamente diverse per genere e moralità. Che la corsa di Fury Road abbia inizio...                        

Paolo Vannucci    

martedì 7 aprile 2015

AVENGERS: AGE OF ULTRON



AVENGERS: AGE OF ULTRON

Secondo capitolo della saga dei vendicatori, diretto da Joss Whedon, con James Spader a ristabilire le ire psicoanalitiche di un collaudato gruppo di super eroi

Tornano Cap, Iron Man, Thor e soci per un secondo capitolo da prequel a una saga di lunga durata.   

“Super eroi con super problemi?” Se inizialmente il motto della Marvel poteva attingere da un simile binomio, non c’è mai stato sbarbatello che si possa essere lamentato riguardo a quali origini potessero fare riferimento le fantastiche prodezze che hanno sempre contraddistinto gli alfieri di quel patriottismo  tutto made in USA. Se singolarmente hanno fatto la fortuna dei botteghini, le cose non potevano andare meglio per quel corposo e vincente “gruppetto” di superuomini che rispondono al nome dei Vendicatori, uniti dal magnate Tony Stark/Iron Man (Robert Downey Jr.) che ha fruttato più di un miliardo di dollari con il primo episodio del 2012, tanto per riprendere confidenza con quegli agenti rimpiazzati dello S.H.I.E.L.D, voluti da Nick Fury (Samuel L. Jackson) e reimpastati in maniera più o meno omogenea e con le pecche caratteriali che li hanno fatti scontrare prima di scendere al compromesso di unire le proprie qualità per migliorare il genere umano. Quindi ecco nuovamente il dottor Banner/Incredibile Hulk (Mark Ruffalo) a dividere il proprio sapere scientifico con Stark, dopo aver sbollito i propri risentimenti nei confronti di Steve Rogers/Capitan America (Chris Evans) e il mitico Thor (Chris Hemsworth), senza essere sedotti da Natasha Romanoff/Vedova Nera (Scarlett Johansson) o nella mira del dardo di Occhio di Falco (Jeremy Renner)... insomma tutti ancora in vena di scazzottate per una umanità che sembra non meritarsi tanto dispiego di cervelli e muscoli. La soluzione sembra venire proprio da Tony Stark, che per evitare di indossare maschere e relative doppie identità, ha creato un clone di se stesso, ma dalla moralità evoluta dallo stesso ingegno che porta Ultron (James Spader in capture motion) a concepire la soluzione divina di porre fine al genere umano. A mali estremi, estremi rimedi, che hanno garantito un secondo episodio in veste di prequel al terzo capitolo in uscita nel 2018, diviso un due parti e con l’epitaffio Avengers: Infinity War  (la seconda parte nel 2019), tanto per ricollegarsi al fumetto originale che in Guerra Civile (in Italia edito dalla Panini) ha gettato le basi per una crisi morale all’altezza dell’ego dei singoli personaggi. Tutto si ricollega alla fervida fantasia di Stan Lee, con una maturazione contemporanea che dal terrorismo reale può facilmente deviare una contemporaneità quasi d’obbligo verso questi eroi chiamati a difendere un’umanità sempre più idealizzata e identificata in un super-cattivo di turno che ne possa rappresentare la debolezza che non sempre si può associare alla meschinità. Quindi non possiamo che aspettare il 22 Aprile per “scendere in campo”, senza essere assuefatti dalle problematiche di un Avengers: Age of Ultron che sicuramente saprà rimanere fedele alle aspettative di chi non dubita dell’efficacia dei sani eroi Marvel. Staremo a vedere...      
                    
Paolo Vannucci      

venerdì 13 marzo 2015

LA “SUITE FRANCESE” DI MICHELLE WILLIAMS


SUITE FRANCESE

Dalla tragedia della seconda guerra mondiale, il romanzo postumo di Irène Némirovsky rieditato dal regista Saul Dibb, con una memorabile Michelle Williams tra gli orrori dell’Olocausto

Prova d’autore di prim’ordine, con una Kristin Scott Thomas dalle grandi aspettative.  
  
Un romanzo che ha avuto una lunga gestazione da parte della stessa scrittrice, Irène Némirovsky, nei due libri scritti febbrilmente nei mesi che precedettero il suo arresto e la deportazione ad Auschwitz; Tempesta in Giugno (che narra la fuga dei parigini all’arrivo dell’occupazione tedesca) e Dolce,  passionale narrazione del destino di una “Sposa di guerra” (la Williams) con un ufficiale tedesco (Matthias Schoenaerts). Tutta la storia si snoda secondo un intreccio di ferventi passioni nate dal conflitto sociale che li sconvolge, dal ricco banchiere al giovane prete, lo scrittore vanitoso e il giovane ribelle che si vuole arruolare al fronte ma che trova conforto tra le braccia di una donna di facili costumi. E’ un romanzo “vivo e sentito”, dove si mescolano tutti i sentimenti tipici di un periodo storico che ha messo a dura prova la moralità degli uomini e delle donne. Il cinismo, la meschinità, l’eroismo, l’amore e la pietà. “La cosa più importante, qui, e la più interessante” scriveva la Némirovsky due giorni prima di essere arrestata (morta nel ‘42 durante la prigionia), “è che gli eventi storici, rivoluzionari ecc. sono appena sfiorati, mentre viene investigata la vita quotidiana, affettiva, e soprattutto la commedia che questa mette in scena”. Kristin Scott Thomas dona un’ennesima grande interpretazione, con quel tocco di vero teatro che ha potuto sfoggiare nel recente Nowhere boy, mentre Sam Riley sembra voler dissociare l’esperienza favolostica di Maleficent da un dramma storico che si può solo riscontrare nel celebre manoscritto di Anna Frank, dove la stessa Irène annotava in un diario l’evoluzione stessa di quel triste romanzo che l’ha vista premiata postuma dai giurati del Prix Renaudot. Un film per non dimenticare, diretto da Saul Dibb, in cui gli equilibri dei sentimenti possono solo diventare lo specchio infrangibile di una grande storia d’amore e di guerra, quella che ogni uomo porta dentro di se e che può solo essere raccontata con i rigori dell’anima.        
                  
Paolo Vannucci   

martedì 10 marzo 2015

CIO’ CHE INFERNO NON E’


CIO' CHE INFERNO NON E': Alessandro D'Avenia

Terzo libro dello scrittore siciliano, nel viaggio intimo di una Palermo vissuta nelle sue aspre contraddizioni, attraverso gli occhi del giovane Federico e padre Pino Puglisi

Alessandro D’Avenia racconta la propria adolescenza in un omaggio ad una Sicilia che non sà dimenticare.

“Dove sei tu che puoi cucirmi l’anima silenziosamente? Ragazza piena di luce, puoi tu rammendare un ragazzo fatto di vento? Io cerco il tuo nome, benchè tu non l’abbia” 
Federico è fatto di benchè... diciassette anni colorati da una poesia che lo fa sentire sicuro in quel mondo scolastico rappresentato da quel liceo costruito sulle parole del Petrarca, di Dante e di tutti quei poeti che lo fanno sentire utile, in un mondo ancora incerto ma che ha un porto sicuro che è la sua famiglia, i suoi genitori e il fratello Manfredi...
“I maschi risolvono così le vertenze: è una cosa che le donne non capiranno mai. Senza mio fratello sarei soltanto un’ipotesi di maschio”
E’ per questo che Federico si ritrova in un campetto di calcio malmesso, in quella parte di città che tutti chiamano Brancaccio, frequentato da ragazzi così diversi da lui, con una rabbia interiore che non conosce ma che identifica con quella testardaggine che ha sempre associato alla voglia di scoprire la vita, come i suoi poeti dannati che declamano amore e maledivivere... oppure quelle letture giovanili che si devono leggere per non essere nessuno. Come dice il suo “3P”, il professore di religione padre Pino Puglisi, quell’uomo che Federico scopre di giorno in giorno, portandolo ad avvicinarsi a quel mondo fatto di nomi nuovi... Francesco, Maria, Dario, Serena e Totò... uniti da un pallone che vogliono calciare alto nel cielo, oltre le nuvole... oltre il Cacciatore, ‘u Turco, Madre Natura. Lui, arbitro di una partita molto più grande della sua età, che gli procura un labbro rotto e una bicletta rubata. Ma Federico non vuole rinunciare a quel prete che gli ha fatto conoscere una realtà che sino a quel momento poteva essere solo quell’ostinazione che ha sempre conosciuto come dignità, molto più matura dei cartoni animati giapponesi che guarda alla televisione con suo fratello. Per questa nuova asprezza ha rinunciato al mese in Inghilterra, dimostrando a suo padre di essere cresciuto... almeno quel tanto che basta per essere responsabili delle proprie azioni, proprio come vuole quell’altro padre, il prof di religione. Lui le scatole le rompe... si consuma le nocche sugli usci di quella burocrazia che sembra oscurata da quel male che tutti chiamano Cosa Nostra.  Ma Federico ha imparato la più importante delle lezioni... “perchè il solo lievito per un cambiamento possibile è nascosto tra le mani di chi apre orizzonti dove il destino prevederebbe violenza e desolazione”.
“L’inferno non esiste. E se esiste è vuoto. Dicono. Vivono forse in quartieri con giardini e scuole . Ignorano. L’Inferno sono gli enormi palazzi di cemento, alveari screpolati e abbandonati dalla bellezza, che fanno di cemento l’anima di chi li abita. L’Inferno si annida nei sotterranei di questi palazzi stipati di polvere bianca tagliata alla meglio e carne umana in saldo. L’nferno è fame mai soddisfatta di pane e parole. Inferno è un bambino sfregiato da fuori verso dentro, dalla pelle fino al cuore. Inferno è il lamento degli agnelli accerchiati dai lupi. Inferno è il silenzio degli agnelli sopravvissuti.
Ciò che inferno non è”   

PaoloVannucci