martedì 7 maggio 2013

DiCinema: la nuova Hollywood


Un viaggio nello star system mondiale, per conoscere gli attori e i registi  che hanno rinnovato l’ultima generazione di miti in celluloide

Quando la rude virilità si sposa con il sentimentalismo, il volto volitivo di uno dei machi della nuova mecca Hollywoodiana, nel talento di Bruce Willis.
  

Duri a morire... è proprio il caso di dirlo, quando il cinema americano è  sempre  stato avido di protagonisti in grado di sostenere un non facile fardello di credibilità, suddivisa nel clichè assoldato dai ruoli e la stessa tempra dell’attore. Chi si è cimentato in una simile impresa, dai celebrati Robert Mitchum, maschera quasi dandy di un machismo ben arbitrato, passando da I forzati della gloria (The Story of G. I. Joe), il caposaldo di un cinema documentaristico nella propria assoluta devozione, al compendio devoluto nel Sangue sulla Luna (Vento di Terre Selvagge), dove la metamorfosi umana del potagonista segue una redenzione quasi prosaica del duro da intenditori, possiamo resettare l’antagonismo caratterizzato da un Yul Brynner, che facilmente poteva passare da ruoli di comprimaria cattiveria al classico sentimentale, vedi i più rappresentativi  Agli ordini del Fuhrer e al servizio di Sua Maestà, per deliziare i palpiti femminili con il tradizionalismo espresso dal sempreverde Anastasia. Bruce Willis (Walter all’anagrafe, classe ’55) è senza dubbio il più alto esponente di un cinema adrenalinico con ampi crediti da kolossal commerciali.  Di controversi natali (è nato in una base militare tedesca, da padre meccanico e madre casalinga), dopo un college d’Arte Drammatica interrotto per seguire la propria indole artistica, la solita gavetta di mestieri umili (dal barista al camionista) lo porta ad affrontare le prime esperienze professionali, passando dalla profetica sostituzione in un musical a scapito di Ed Harris, a cui si susseguono provvidenziali partecipazioni e occasioni mancate (una parte “glissata”al Cercasi Susan disperatamente di Madonna), per approdare, da vero protagonista, alla serie televisiva Moonlighting, fortunata saga giallo-romantica, trasmessa dal 1985-89 al fianco di Cybill Shepherd, mentre la commedia di Blake Edwards lo raccoglie ancora fresco di programmazione per le analoghe performance di  Appuntamento al buio (1987), rocambolesca soap rosa al fianco di Kim Basinger, e Intrigo a Hollywood. La vera performance che marchierà la tempra di Willis arriva con la regia di John McTiernan, nel Trappola di Cristallo (Die Hard), apparentemente un innocuo rifacimento dell’originale Inferno di Cristallo, firmato da Guillermin, per diventare una inedita trilogia fine a stessa, arrivata sino al capitolo odierno con l’epitaffio “Un buon giorno per morire”, siglato John Moore. Robert Zemeckis lo riabilita alla commedia con tanto di effetti speciali ereditati dalle fatiche spielberghiane, nel suo La Morte ti fa bella, mentre Quentin Tarantino non può che approfittare del proprio taglio di attore, per non assecondarlo in Pulp Fiction. Uno dei primi registi ad immolarlo in una inedita dimensione data al cinema di fine secolo (siamo nel 1997) è Luc Besson, con una piccola gemma di fantasy che mette in ombra il capolavoro di Scott e Lang (rispettivamente Blade Runner e Metropolis), ne Il Quinto elemento. Una moderna e urbana visione del futuro, con una Milla Jovovich, barocca e sensuale icona femminile (vestita da Jean Paul Gaultier) all’altezza di un cinema francese che ha saputo ammaliare Hollywood. Analogo è il più introspettivo dramma ritratto da Terry Gilliam, L’Esercito delle 12 Scimmie, con un Brad Pitt all’altezza dei ranghi. Il ciclone Armageddon, pilotato dal Re Mida Michael Bay,  lo consacra definitivamente attore di culto, in una miscela di citazioni, tessute su una sceneggiatura che vuole uscire dai margini del disaster movie, per desistere dall’essere semplice film da blockbuster. Considerando la parentesi privata di Planet Hollywood (non di meno il matrimonio con l’attrice Demi Moore), la catena di ristoranti per celebrity voluta insieme a Stallone e Schwarzenegger, con i quali gira la serie di film I Mercenari  (tra camei e protagonismi di convenienza), la punta di diamante del fumetto d’autore, Frank Miller (insieme ai registi Robert Rodriguez e Quentin Tarantino), lo immortala nel bianco e nero “rossosangue” di Sin City, cult della graphic novel moderna. Tema che incoraggia e motiva il regista Jon M. Chu a definire un ponte degno dell’attore con il culto dei comics G.I. Joe, nell’omonimo “La Vendetta”, ristabilendo quel vincolo naturale che, già nel film di William A. Wellman (girato in contemporanea con il secondo conflitto bellico), ha sempre stabilito il legame di appartenenza ad una categoria di uomini che cadono, si rialzano e sopravviveranno per sempre.

Paolo Vannucci                              


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