Ritornano Leo & Beatrice, novelli
Romeo & Giulietta revisionati dal professore liceale D’Avenia, per deliziare
il genere adolescenziale iniziato da Federico Moccia.
“Formula giusta
non si cambia”, sembra suggerire la nuova commedia italiana rivolta ai
giovanissimi, arrivando persino a prendere in prestito volti e atmosfere che
sfiorano il plagio dei diritti d’autore. Tanto nessuno se ne accorge, almeno
così si augurano i produttori di un cinema italiano che ha trovato una strada
battuta dalla fiction televisiva dalla quale nessuno vuole recedere, e ne sa
qualcosa la giovane Aurora Ruffino, oggi Silvia, al fianco di Filippo
Scicchitano, ex Scialla comprimario di
Fabrizio Bentivoglio, immersi in quella voglia di crescere che non arriva
mai... e quando arriva è ormai troppo tardi. L’importante è cogliere
quell’attimo, viverlo e colorarlo meglio che si può, complice l’avidità di chi
l’adolescenza l’ha già vissuta, meglio se è anche un professore di lettere
ancora troppo giovane per smettere di guardare il mondo con gli occhi di un
sognatore. Il professore è svelato, dietro i riccioli ribelli e ossigenati di
un Alessandro D’Avenia che ha saputo calarsi nel ruolo di scrittore, con un
corso di sceneggiatura e la capacità di riadattare la propria esperienza di
giovane professore di un liceo qualunque, al servizio di quella fantasia
intrisa di filosofia e poetica che, forse, “rompe” soltanto un pochino, ma
sempre quel tanto che basta per farci essere sempre migliori. La storia la
conosciamo tutti, almeno per chi il libro, da cui è tratto il film, lo ha
divorato. Leo (Scicchitano), sedicenne immerso nel suo problematico mondo di
studente, con l’amico Niko (Romolo Guerreri) compagno di vita e di calcetto.
Poi c’è Silvia (Ruffino), seduta al banco di scuola e innamorata persa di
quell’incosciente che pensa sempre a Beatrice (Gaia Weiss), bella e destinata a
morire, tra quei capelli rossi che svaniscono tra le lenzuola bianche di un
ospedale. Nomi importanti, che sembrano emergere dalle pagine del libro di
letteratura del Sognatore (Luca Argentero) che ammonisce di congiuntivi e prosa
le incertezze dei propri studenti. Una storia come tante, ma che riesce a dare
vita ad un film carino e convincente, proprio come i colori che lo devono
caratterizzare, il Bianco e il Rosso, appunto. Una regia riposta in Giacomo
Campiotti, che ha saputo cogliere il meglio dei suoi recenti predecessori,
ripescando Questo piccolo e grande Amore
di Riccardo Donna, sulle note della celebre canzone di Claudio Baglioni, in
quel valzer di colore e musica architettata ad arte, per saper essere cinema
che può ancora valere il prezzo di un biglietto. Le note della canzone dei
Modà, Se si potesse non morire,
riesce a convincere quel scetticismo quanto basta, coreografando un videoclip
che merita il successo di un film che vuole rimandare sempre l’attenzione al
libro da cui è stato tratto. Merito di quel giovane professore di Lettere, cha
a forza di sognare è riuscito a trovare la propria strada. Complimenti...
Paolo Vannucci