Torna l’Agente con Licenza d’uccidere, nel compleanno celebrativo più
importante della storia del cinema, con Daniel Craig elegantemente Bond
Il nuovo capitolo dell’agente creato da Ian Fleming, nell’era digitale che ha visto “rinascere” il mito iniziato da Connery.
La resurrezione. Questa è la parola d’ordine per poter accedere al
nuovo mondo “bondiano” creato da papà Fleming, scomparso un paio d’anni
dopo che la United Artist (5 Ottobre, 1962) comprò i diritti per
l’intera opera letteraria dell’autore, affidando ad un giovane Sean
Connery il ruolo dell’agente “doppio Zero” (proprio come la farina, per
l’impasto più corposo a prova di spia) che sorseggia Martini (“shackerato, non mescolato”),
amante delle belle donne (un vero campionario di Bond girl, dalla
Andress alla Murino) e con un senso dello Humour da vero anglosassone.
Una formula vincente che ha dato ottimi risultati, assorbendo gli
status e le mode di mezzo secolo di costume e società, senza
danneggiare un personaggio che ci ha accompagnato nel valorizzare le
“nostre debolezze”, ovviamente per entrambi i sessi, dalla renitente
Pussy Galore al carnale ossigenato Silva (l’ispanico Javier Barden)
dell’ultimo neonato Skyfall, senza dimenticare i pregi e i
difetti di una carriera cinematografica che ha visto vari passaggi di
testimone (sei, compreso Craig) per un “marginale” làscito di parodie,
compresa la non accreditata dai produttori Saltzman e Broccoli di Casino Royale
del 1967, vero e proprio cult dissacratorio di un protagonista capace
di cadere, per rialzarsi sempre impeccabile. Roger Moore ci ha
accompagnato nel decennio più difficile, valorizzando (Moonraker, in piena Odissea siglata Shuttle) e demolendo (L’Uomo dalla Pistola d’Oro,
nello Scaramanga-Christopher “Dracula” Lee, rilasciato a episodi nel
Fantasylandia), dopo un veloce interscambio di ruoli con l’attore
australiano George Lazenby, per l’unico matrimonio “indolore” di Bond
(1969, Al servizio Segreto di Sua Maestà, Diana Rigg la
sfortunata consorte), mentre Timothy Dalton ha avuto il merito di
assestare un linguaggio cinematografico che sembrava arenarsi nella
ripetitività scomoda di un clichè, abdicando dopo Vendetta privata (l’originale Licence to Kill).
Pierce Brosnan ha ridato vita all’originale mito di Connery, posato e
ironico a più non posso, completamente a suo agio in un ruolo che lo
aveva già assestato in un prequel televisivo, devolvendo quattro
episodi (Goldeneye, apripista d’eccezione) che hanno visto
Judi Dench assumersi le responsabilità di una “M” tutta al femminile
(non dimentichiamoci dell’eterna segretaria innamorata MoneyPenny),
oggi destabilizzata da un Mallory, "sorprendentemente” Ralph Fiennes.
Stessa sorte per l’arteficiere “Q”, oggi “sbarbatello” da vero Hacker,
interpretato da Ben Whishaw, dimenticandoci di un John Cleese (Peter
Burton rimarrà l’icona inimitabile) troppo sardonico anche per lo
stesso Bond (tutto pur di vedere accessoriare l’immutabile Aston
Martin, oggi riproposta con la stessa targa del 1962). Per Skyfall, Sam Mendes (vi ricordate American Beauty?)
ha la responsabilità di dirigere per la terza volta un Daniel Craig
(l’attore si è già visto accreditare altri due capitoli alla lista)
“energico” e rassicurante anche da “morto”, visto che non è la prima
volta che il personaggio di Fleming si è visto passare a miglior
vita... ma parliamo di Bond, James Bond e per Sua Maestà, la Regina
Elisabetta (comprimaria autentica, al fianco dell’Agente 007, alla
cerimonia dei giochi Olimpici del 2012), la resurrezione non è che un
contrattempo “scomodo”... ma risolvibile. Buon Compleanno James!
Paolo Vannucci