lunedì 26 marzo 2012

ALLAN POE indagato tra le pagine di THE RAVEN


John Cusack interpreta lo scrittore culto della letteratura gotica americana, nelle mani del regista James “V” McTeigue

Dal regista di "V per Vendetta", l’inedita trasposizione del padre precursore del romanzo noir e poliziesco, nel capolavoro cult dello scrittore.

“Un corvo si adagia stanco su di un ramo, mentre l’eco del suo richiamo pervade la gelida scena di un delitto”. Bastano queste brevi righe per introdurre l’immaginario collettivo degli estimatori (e non) di quella cultura letteraria nata a metà ottocento, dai natali esclusivamente statunitensi e riassunta in un nome che ha firmato i racconti più celebri di quel genere noir che ha definito lo stile gotico di intere generazioni rinnovate sino ad oggi, devote ai titoli che hanno infervorato la fantasia dell’autore Edgar Allan Poe, dall’omonimo The Raven (il corvo), scritto nel 1845 insieme ad una raccolta di poesie, attingendo dalla prosa shakespeariana da cui è debitore, mantenendo quell’autenticità che ha definito lo stile poliziesco, riversato nel personaggio di Auguste Dupin, nato nel 1841 per i giornali dell’epoca (il Gift e Graham's Magazine), da quel racconto inedito I delitti della rue Morgue, ispirando lo stesso regista James McTeigue nel ridosare quegli stessi ingredienti (da non tralasciare Il Pozzo e il pendolo e Lo Scarabeo d’Oro tra i titoli dello scrittore), per riproporre “l’originale” The Raven come biopic di Poe. Distaccandosi dalla plastica dinamicità lasciata alla Graphic Novel del celebre V per Vendetta, surrogato postadolescenziale di “Orwell 1984” (discutibile), rubando John Cusack dal filone apocalittico-catastrofico di Emmerich, per non debilitare l’attore nel ritrovato ruolo di scrittore “squattrinato” (lo stesso Allan Poe deturpato dai diritti d’autore per l’omonimo romanzo pubblicato all’epoca), McTeigue ridona forma e contenuti (restyling degno del collega cineasta Oliver Parker per il “suo” Dorian Gray) a questa riuscita riedizione, senza tralasciare nessun dettaglio al caso (appunto), partendo dallo stesso Luke Evans nel ruolo del detective Emmett Fields, lettore non estimatore dei racconti di Poe, incaricato a risalire all’artefice dei delitti di un omicida che usa i saggi dello scrittore come mittente assassino. In un’atmosfera celebrata dalle scenografie di Roger Ford e dalla fotografia di Danny Ruhlmann (orchestrati dagli effeti speciali di Paul Stephenson e Szilvia Paros), si ritrovano gli stessi indizi trafugati dalla vita dello scrittore, in una inedita Emily (l’attrice Alice Eve), l’amore ostacolato dal padre nell’autentica Sarah Elmira Royster, tra le tante muse che hanno animato l’animo romantico dello scrittore. Tutto si evolve in quel perfetto mix di ironia e noir gotico degni dell’autore. In una lettera scritta a Kennedy nel 1835, uno dei pochi suoi ammiratori, Poe si confessò:« Sono in uno stato depressivo spirituale mai fino a ora avvertito. Mi sforzo invano sotto questa malinconia e credetemi, quando Vi dico che malgrado il miglioramento della mia condizione mi vedo sempre miserabile. Consolatemi Voi che lo potete e abbiate di me pietà perché io soffro in questa depressione di spirito che se prolungata, mi rovinerà… ». La risposta alle critiche caratteriali e bizzarre dell’amico fu la sua stessa ammissione: « Dopotutto potrebbe essere vero che i miei racconti siano scritti per scherzare anche se è possibile che questo scopo sia rimasto ignoto in parte anche a me. »

Paolo Vannucci

lunedì 5 marzo 2012

QUELLI CHE DISSERO NO


Premier della destra “rimandati” in prescrizione, Zar russi riconfermati dal popolo “sentitamente” commossi... e c’è chi dice NO?

Analisi di una società dispersa, attraverso uno spaccato morale di un dopoguerra ancora drasticamente attuale, nelle pagine scritte da Arrigo Petacco.

“Veramente i campi erano cinque, ma formavano un blocco solo. Vi si praticavano tutti gli sport e si mangiava bene. Era proprio bello stare là. Le nostre baracche erano comode. Era un’altra vita. Credevi mai di essere trattato così bene dai nemici!”

Siamo ancora sempre italiani, oggi come allora, quando l’8 settembre ’43, l’allora capo del Governo Pietro Badoglio annunciò la firma dell’Armistizio con gli Alleati, trasformando in fantasmi quei quasi seicentomila soldati, prigionieri nei vari campi allestiti da inglesi e americani, senza una bandiera a cui fare riferimento, divisi dal fascismo crollato e un re costretto alla fuga.

“Fascismo o antifascismo, monarchia o repubblica non rappresentavano d’altronde i veri termini del dissenso. Ciascuno avrebbe voluto dire la sua, spiegare il perchè e il percome della propria decisione, ma non c’era verso: era consentito soltanto un monosillabo, si o no”.

La stessa domanda che ci facciamo oggi, ricercando un improbabile ordine tra “giochi di potere” che rimandano a farse rielaborate, in preda ai deliri di onniscenza che padroneggiano, con sfacciata, denigrante imposizione, le trame di un mediatico processo di autoassoluzione. Chi sono i vinti e i vincitori? Un Luigi Fasulo emulò un attacco terroristico, “atterrando” contro il nostrano grattacielo Pirelli (ma sì, chiamiamolo pure PIRELLONE), attoniti e increduli, “mooolto” di meno di uno Schettino che ammonisce con un pittoresco “iamme... và”, ammutinando una nave da crociera, telefonino in mano, sotto le imprecazioni di un Capitano De Falco, rimpiangendo forse i fasti di un Poseidon, arenato “tra le braccia del Titanic”. Eppure continuiamo a voler credere che possa essere tutto frutto di una “dissacratoria” voglia di emulazione, con tanto di veri protagonisti di un Reality Show raccapricciante, sulle spalle di una crisi economica che oscilla sulle parole esangui di un Monti che sembra costretto a fare il doposcuola, mentre Berlusconi si “dimentica” che c’è un Segretario di Partito in carica, rimediando un calcio d’angolo con incursioni da ritrovato Presidente di un Milan, rollando un Galliani che sembra partecipare a “Quelli che il Calcio”, imprecando per poi sorridere, dietro le traversie di un Signori, che reclama una Nazionale “onesta” all’unico che crede di fare squadra nel nome che fu in quel di Prandelli (o a brandelli), mentre continuiamo a essere italiani.

“Anni dopo, nel 1951, il competente distretto militare inviò a utti i “condannati”, il seguente comunicato

La punizione a gg.5 A.S. inflitta – all’atto del rimpatrio – dalla commissione centrale per l’interrogatorio degli ufficiali reduci dalla prigionia è da considerarsi annullata.

Fu un’ipocrita riabilitazione generale o la riparazione consapevole di un’ingiustizia? Chissà...”

Paolo Vannucci