mercoledì 11 gennaio 2012

DiCaprio torna a capo dell'F.B.I.


Cleant Eastwood dirige Leonardo DiCaprio, in una pragmatica biografia della vita di J. Edgar Hoover, storico direttore dell’F.B.I... ed è profumo di Oscar?

Due talenti consolidati del cinema americano, per una ennesima pagina di storia statunitense, riletta con volere intimista e lucida cronaca contemporanea.

Per far “crescere” Leo DiCaprio ci voleva la proverbiale durezza di un regista come Eastwood, abile infarinatore di soggetti cinematografici che attingono da una realtà capace di scuotere la morale, oltre ogni colore di bandiera, educando un pubblico che non sempre riesce a conciliare i tempi di una narrazione devoluta agli attori, con le incursioni volute da un regista che è cresciuto facendo entrambi i mestieri. I tempi degli spaghetti-western sembrano ormai un lontano ricordo, diventando sempre più un vanto da cineamatore, nell’ostentare ancora quei titoli nati da un maestro come Sergio Leone. Oggi, la maschera del granitico pistolero ha allungato le pretese, senza tralasciare gli oneri di quel passato, devoluti nel suo personale tributo a un genere, nel film diretto nel ’92, Gli Spietati, per arricchire il proprio curriculum con una invidiabile plètora di film che hanno conciliato buongusto e stile, passando dall’azzardato Million Dollar Baby, al poetico I Ponti di Madison County, distaccati lasciti di un genere che facilmente si possono aggraziare i consensi riposti nel suo ultimo film, J. Edgar, senza trascurare i più attinenti titoli legati alla serie poliziesca dell’ispettore Harry Callaghan. Una ennesima pagina di grande storia americana, dopo il trionfo visivo di Flags of Our Fathers, che sicuramente subisce fortemente le inflessioni narrative regalate da Michael Mann, nel suo Nemico Pubblico, complici la riuscita coppia Bale-Depp. Ma il cinismo “sarcastico” di Eastwood riesce a prevalere nella sua inedita biografia sul fondatore dell’F.B.I (Federal Bureau of Investigation), preoccupandosi di sondare l’emotività e le problematiche di un personaggio che ha dedicato la propria vita al Governo di un Paese, passando dalla “porta di servizio”. Un DiCaprio appesantito da un trucco che sembra voler tracciare un “sentito” limite tra la stessa vera identità di Hoover, nominato direttore nel 1924, fino alla sua morte, in quel prologo appesantito dagli anni, in cui ripercorre la propria vita, narrandone gli accadimenti. Tutto sembra incentrato sulla vulnerabilità di un uomo segnato dalle ambizioni di una madre amorevole e protettiva (Judi Dench), che forma il carattere di un ragazzo che impone la propria personalità, dettandone le regole e schivandone le ripercussioni sulla vita privata e sentimentale (il legame dell’amicizia velato da quel sapore assoluto dell’omosessualità, rappresentato dal collega Clyde Tolson). Principi morali e valori estetici che vuole fondere con il protocollo interno di un Organo di Giustizia, più volte attaccato per i sistemi ritenuti poco ortodossi, adottati dallo stesso Hoover. Accuse che sottolineano, inesorabilmente, una sorta di superficialità dimostrata da Edgar, in quella quasi assenza, sentita come una forma di gelosia, nelle azioni determinanti portate a termine dagli agenti che hanno lavorato sotto le sue direttive. Un DiCaprio che sembra far prevalere l’attore sul personaggio, come vuole lo stesso Eastwood, citando Brian De Palma nel suo Gli intoccabili, come forma di istruzione in quelle tecniche pionieristiche, impartite con ingenua meticolosità. La fotografia di Tom Stern e la sceneggiatura di Dustin Lance Black incorniciano un film che sembra destinato a forti ambizioni... ma su DiCaprio incombono pesanti perplessità di “Stato”. Cleant Eastwood ha fatto di nuovo centro, comunque vada...

Paolo Vannucci

Nessun commento:

Posta un commento