mercoledì 28 novembre 2012

MAMMA... HO PERSO IL CINEPANETTONE!


L’era di Boldi-De Sica, salutata dalla coppia Castellito-De Luigi... in un prequel natalizio “da grido”

Addio alla comicità estrema di una tradizione natalizia che lascia volentieri il testimone alla nuova generazione di cineasti e attori del cinema italiano.

Eppure è successo. Se sembrava impossibile privarsi di quel rito battezzato cinepanettone dall’ultimo ventennio del cinema italiano, oggi dobbiamo arrenderci da quella commedia che è nata in pieno pop anni’80, sotto il patrocinio musicale della Baby Records e il volere “geniale” di Carlo Vanzina, iniziando la multistaffetta con il primo Vacanze di Natale,  progenitore nel nome del virgulto De Sica in Christian, passando dal compagno Jerry Calà a Massimo Boldi, sfruttando quella spensierata verve comica fatta di adolescenziale goliardia sentimentale tanto celebrata dai riusciti e analoghi Sapore di Mare, per continuare ad essere cinema comprimario a tutti gli effetti, senza pretese e soddisfatti di una leggerezza che felicemente lascia il tempo che trova, vedi i vari Yuppies battezzati da Ricci in piena epoca berlusconiana scaturiti dal “Drive in” televisivo e gli assoli di Calà e Mauro di Francesco nei riusciti Chewingum e Vado a vivere da solo.  Oggi? La formula cambia... e con gli stessi ingredienti. Cristiana Capotondi è una trentenne eterna adolescente, proprio come vent’anni fa, quando un americano Luke Perry la faceva sognare, uscito dal Beverly Hills 90210  televisivo,  e ad aspettarla c’era sempre un principe azzurro, ammettiamolo pure... impacciato e fricchettone come il nostro Fabio De Luigi, alle prese con una famiglia comica e dissacratoria, come vuole la tradizione... natalizia e non. Traumatizzati? Ma neanche per sogno! “The show must go on”... e quindi si continua nella stessa maniera, attori sempre più convinti e registi presi in prestito dagli attori. Alessandro Genovesi e Paolo Genovese, rispettivamente registi di Il peggior Natale della mia vita (per il clan De Luigi) e Una famiglia perfetta, quest’ultimo imperniato su un “acrilico” Sergio Castellito in cerca di una felicità ricreata su misura dagli stessi attori, nei ruoli di una finta parentela in stile Nirvana. Pensate sia troppa esagerazione? Avete pensato bene... perchè il divertimento lo vogliamo proprio così... pieno di luci colorate, calde atmosfere in spassose battute sotto l’albero, anche quando il nostro cinema strizza volentieri l’occhio a quello americano... e il risultato è identico. Segno, dunque, che il cinema lo sappiamo fare... e anche meglio di tanti altri (vedi Acciaio, diretto da Stefano Mordini, esempio di un rinnovato neorealismo adeguato ai tempi). Grazie ad Antonio Catania, Diego Abatantuono, Laura Chiatti, Ale e Franz, Francesca Neri, Claudia Gerini, Marco Giallini... insomma, il Natale è sempre Natale, anche se, per dovercelo ricordare, si ricorre a qualche eccesso di convenienza, anticipando le uscite o accostando il tutto alla formula sempreverde del cinema d’animazione... oggi esclusivamente in computergrafica, vedi il pretenzioso Le cinque Leggende, ultimo nato della DreamWorks, adunata analoga di icone festive, tra Santa Claus, tatuato e in stile “capitano, mio capitano” che deve guidare un gruppo di celebrità vacanziere in pericolo, tra cui La fatina dei dentini e uno sbarbatello Jack Frost. ll Natale è salvo... per fortuna!

Paolo Vannucci      

martedì 13 novembre 2012

BREAKING DAWN: IL FINALE DELLA SAGA


Si conclude il romanzo epico di Stephenie Meyer, nella progenie del matrimonio cult del vampiro Edward e Isabella

Robert Pattinson e Kristen Stewart ancora insieme, nel capitolo finale sempre diretto da Bill Condon, mentre è in attesa un prequel dedicato al vampiro della Meyer.

La resa dei conti è giunta al finale, tra entusiasmi e incassi al botteghino, tra discussioni socio-educative di un fenomeno letterario felice per chi è adolescente, leggero per chi osa sognare la giovinezza che fu, godibile per chi pretende un cinema che ricicla  clichè letterari e mode contemporanee... insomma, nel bene e nel male, la “bigottona” Stephenie Meyer ha decisamente travolto un pubblico di spettatori-lettori, stremati dalla maratona dispensata in una quadrilogia (cinque romanzi, con lo spin-off, La seconda breve vita di Bree Tannent, dedicato alla sfortunata neovampira di cui ne è stato dato corpo e anima nella infelice intrusione della prima parte di Breaking Dawn) battezzata cinematograficamente nel 2008 con la regia di Catherine Hardwicke, cianotica rilettura anni ’80 fedele al romanzo, che  ci ha introdotto nel mondo parallelo di lupi e vampiri teenager, dove la truculenza è bandita e la novella in chiave shakespeariana traccia i caratteri di un amore “sofferto” ma sempre a lieto fine. Promesse mantenute nel successivo New Moon, diretto un anno dopo da Chris Weitz, ampia tessitura (non solo musicale, visto la riuscita partitura composta da Alexander Desplat) in terra toscana, introducendo la famiglia dei Volturi manovrati da un mefistofelico Martin Sheen, nei panni del capo clan Aro. Nuovi imprevisti si susseguono al ritmo dei sempreverdi Muse (due hit in quattro film, Supermassive Black Hole e Neutron Star Collision) nel terzo capitolo Eclipse diretto da David Slade, con ampie riletture teatrali da musical, per attirare un’attenzione più matura nei risvolti sociali in cui si evolve lo stesso romanzo, affidando ad Howard Shore l’abile sovranità di tanta manovrata disputa tra lo stesso licantropo Jacob (Taylor Lautner) e un “terroristico” esercito di trucidi neovampiri che vogliono minacciare l’unione di Edward e Bella. La maturazione definitiva avviene con il neoassunto Bill Condon per il tanto atteso matrimonio tra i due giovani, con sulfuree riprese da soap opera, per l’amplesso più “complicato” che si possa raggirare, con una gravidanza che introduce la tanto attesa trasformazione di Isabella in vampiro (gli effetti speciali da CGI sempre affidati al Tippett Studio)  e la piccola Renesmee.  Oggi siamo alla svolta finale, tra le problematiche della coppia di neogenitori che vedono la loro amorevole figlia semiumana (la piccola  Mackenzie Foy) crescere, contesa dalle attenzioni dei Volturi, drasticamente mortali nella patriarcale sentenza di un diritto che viene energicamente sostenuto dalla famiglia Cullen, aiutata dai vampiri “buoni”  dei clan di tutto il mondo, chiamati a difendere il proprio diritto alla famiglia. I giochi sono aperti, in questa epica conclusione che ci ha visto maturare, almeno in parte, ammettendo che l’innocenza rimessa nelle pagine di un budget milionario può servire realmente a fare riflettere una moralità che sempre ha vacillato, quando le tematiche si spogliano di una malizia che, volentieri, la cinica visione adulta lascia alla purezza di quell’amore, non solo sognato dagli adolescenti di ogni generazione e parte. E voi, da che parte state?


Paolo Vannucci

venerdì 19 ottobre 2012

JAMES BOND COMPIE 50 ANNI!

Torna l’Agente con Licenza d’uccidere, nel compleanno celebrativo più importante della storia del cinema, con Daniel Craig elegantemente Bond

Il nuovo capitolo dell’agente creato da Ian Fleming, nell’era digitale che ha visto “rinascere” il mito  iniziato da Connery.

La resurrezione. Questa è la parola d’ordine per poter accedere al nuovo mondo “bondiano” creato da papà Fleming, scomparso un paio d’anni dopo che la United Artist (5 Ottobre, 1962) comprò i diritti per l’intera opera letteraria dell’autore, affidando ad un giovane Sean Connery il ruolo dell’agente “doppio Zero” (proprio come la farina, per l’impasto più corposo a prova di spia) che sorseggia Martini (“shackerato, non mescolato”), amante delle belle donne (un vero campionario di Bond girl, dalla Andress alla Murino) e con un senso dello Humour da vero anglosassone. Una formula vincente che ha dato ottimi risultati, assorbendo gli status e le mode di mezzo secolo di costume e società, senza danneggiare un personaggio che ci ha accompagnato nel valorizzare le “nostre debolezze”, ovviamente per entrambi i sessi, dalla renitente Pussy Galore al carnale ossigenato Silva (l’ispanico Javier Barden) dell’ultimo neonato Skyfall, senza dimenticare i pregi e i difetti di una carriera cinematografica che ha visto vari passaggi di testimone (sei, compreso Craig) per un “marginale” làscito di parodie, compresa la non accreditata dai produttori Saltzman e Broccoli di Casino Royale del 1967, vero e proprio cult dissacratorio di un protagonista capace di cadere, per rialzarsi sempre impeccabile. Roger Moore ci ha accompagnato nel decennio più difficile, valorizzando (Moonraker, in piena Odissea siglata Shuttle) e demolendo (L’Uomo dalla Pistola d’Oro, nello Scaramanga-Christopher “Dracula” Lee, rilasciato a episodi nel Fantasylandia), dopo un veloce interscambio di ruoli con l’attore australiano George Lazenby, per l’unico matrimonio “indolore” di Bond (1969, Al servizio Segreto di Sua Maestà, Diana Rigg la sfortunata consorte), mentre Timothy Dalton ha avuto il merito di assestare un linguaggio cinematografico che sembrava arenarsi nella ripetitività scomoda di un clichè, abdicando dopo Vendetta privata (l’originale Licence to Kill). Pierce Brosnan ha ridato vita all’originale mito di Connery, posato e ironico a più non posso, completamente a suo agio in un ruolo che lo aveva già assestato in un prequel televisivo, devolvendo quattro episodi (Goldeneye, apripista d’eccezione) che hanno visto Judi Dench assumersi le responsabilità di una “M” tutta al femminile (non dimentichiamoci dell’eterna segretaria innamorata MoneyPenny), oggi destabilizzata da un Mallory, "sorprendentemente” Ralph Fiennes. Stessa sorte per l’arteficiere “Q”, oggi “sbarbatello” da vero Hacker, interpretato da Ben Whishaw, dimenticandoci di un John Cleese (Peter Burton rimarrà l’icona inimitabile) troppo sardonico anche per lo stesso Bond (tutto pur di vedere accessoriare l’immutabile Aston Martin, oggi riproposta con la stessa targa del 1962). Per Skyfall, Sam Mendes (vi ricordate American Beauty?) ha la responsabilità di dirigere per la terza volta un Daniel Craig (l’attore si è già visto accreditare altri due capitoli alla lista) “energico” e rassicurante anche da “morto”, visto che non è la prima volta che il personaggio di Fleming si è visto passare a miglior vita... ma parliamo di Bond, James Bond e per Sua Maestà, la Regina Elisabetta (comprimaria autentica, al fianco dell’Agente 007, alla cerimonia dei giochi Olimpici del 2012), la resurrezione non è che un contrattempo “scomodo”... ma risolvibile. Buon Compleanno James!

Paolo Vannucci

martedì 25 settembre 2012

ALIENS Vs. PROMETHEUS... e vince Ridley Scott!

La Genesi firmata dal creatore Ridley Scott, per ridare autenticità al classico di fantascienza più cult di Hollywood 

Il ritorno dell'Alieno di Ripley e soci, nella versione originale del regista che ha riscritto la fantascienza d'autore. 

Anno 1979.  Dieci anni dopo che l’uomo scoprisse la prima grande “roccia bianca” chiamata Luna, il sogno fantascientifico di ogni astronomo e scrittore, rigenerando le aspettative sulla vita fuori dal pianeta Terra, cominciando ad abbandonare la caratterizzazione atipica dell’alieno e sensibilizzare un’angoscia più umana dell’ignoto e dell’infinito. A fare di tutto questo un capolavoro della cinematografia ci pensò Ridley Scott, magistrale nel mixare Fantasy e Horror in un thriller fantascientifico che consacrò una giovane Sigourney Weaver come androgina portatrice di quell’essere combattuto e protetto (impeccabile Ian Holm, nella inedita impersonificazione dell’intelligenza artificiale, tra acidi lattici e DNA), in quell’essere tecnologicamente animato da Carlo Rambaldi, superando se stesso dopo il “primo contatto” battezzato da Spielberg e il Kong pre-11 settembre, dove John Guillermin sostituì l’Empire State Building con le monolitiche Twins Towers. Scenografie e tensioni riprese da James Cameron nel suo Aliens-Scontro Finale, sette anni dopo una conclusione che non presagiva alcun sequel, almeno nelle intenzioni di Ridley Scott, che si è visto “rubare” il testimone ben cinque volte, in oltre trent’anni di fantascientifica carriera, passando da un terzo capitolo “religiosamente” emarginato in un ghetto da ergastolani dello spazio (sei riscritture di una sceneggiature diretta da David Fincher, per arrivare all’addio di Ripley nel quarto episodio dedicato al genoma umano dispensato nella clonazione. Nel 2004, una svolta commerciale per giovani smanettoni da videogames, iniziati dal regista Paul W.S. Anderson, ospitando un inconsueto Raoul Bova, nel primo di due parentesi poco edificanti (Aliens Vs. Predator 1 & 2) rispetto al valore originale dell’autentico progetto, oggi ripreso dallo stesso Scott, in un vero e proprio prequel, come riferimento alle origini della razza aliena. Un viaggio da Stargate, per omologare un rituale voluto dalle civiltà fondatrici del genere umano, ribattezzate “Ingegneri”, per annoverare filosofie celebrate da Kubrick e miti aztechi in templi religiosi, elargiti dalla presenza comprimaria di Guy Pearce (Peter Weyland, il presidente dell’omonima compagnia finanziatrice del progetto Prometheus, la nave spaziale), in un soggetto già elaborato nel film diretto nel 2002 da Gore Verbinski e Simon Wells nel The Time Machine, giovane scienziato inventore della prodigiosa macchina, tra citazioni devote al codice Da Vinci e cultura primitiva da primordiali evocazioni dell’horror. Alterego di un ritrovato androide nel compassato David (a cui Bishop deve tutto), nell’inarrestabile Michael Fassbender, la cui sorte ripercorre inalterata la matrice dei predecessori, accomodante assistente di una “rivisitata” Ripley, nella ricercatrice Elizabeth Shaw (l’attrice Noomi Rapace), portatrice finale di un rinnovato rito perpetuato dalla inalterata razza Aliena. Fotografia di Dariusz Wolski e montaggio di Pietro Scalia, per questo sogno criogenico offerto dall’unico regista che poteva celebrare un autentico mostro sacro della fantascienza d’autore... e noi non possiamo che ammirarlo! 

Paolo Vannucci 

mercoledì 29 agosto 2012

IL CAVALIERE OSCURO: il ritorno

Epilogo della Trilogia di Christopher Nolan dedicata al fumetto di Frank Miller, con Anne Hathaway e Christian Bale dietro maschera e mantello

Ultimo atto della saga dei personaggi creati da Bob Kane, con il rientro di Cat Woman a presagire un nuovo prequel.

La rinascita dell’uomo pipistrello è iniziata esattamente 13 anni fa, quando Tim Burton ci rivelò il “suo” inedito BatMan, attingendo senza inibizioni tra il neofumetto di Frank Miller (una saga in quattro parti pubblicata nel 1986) e il personaggio originale creato da Bob Kane e pubblicato dalla DC Comics negli albi omonimi nel 1940, che hanno devoluto un primo làscito nella nostalgica serie televisiva interpretata da Adam West sul finire degli anni sessanta, tra supercattivi in “divertenti” scazzottate onomatopeiche e una inedita Ford Galaxie truccata da bat-mobile a inaugurare una cospicua manciata di modelli ipertecnologici su quattroruote che il cinema abbia potuto desiderare. Se Joel Shumacher ha potuto attingere dalla psichedelia pop degli anni settanta, Christopher Nolan si è riappropriato dell’universo parallelo creato dal fumettista-regista Miller, ricucendo le origini dell’Uomo Pipistrello in salsa metodista, tra rinascite Zen e culto artigianale, tutto impacchettato nel primo Batman Begins, addossando sulle “robuste” spalle di Christian Bale, i traumi edipici dell’orfano miliardario e filantropo Bruce Wyne, consolato da Katie Holmes, addestrato da Liam Neeson, armato da Morgan Freeman, sorvegliato da Gary Oldman e assistito da Michael Caine, senza recriminare abusi o licenziamenti da parte della produzione sino ad oggi. Non si può certo vantare tanta fortunata sorte per i cattivi di rito, passando dal lascivo psichiatra Cillian Murphy dietro la maschera dello Spaventapasseri, per ritrovare il ghigno del Joker ereditato da Jack Nicholson nell’interpretazione postuma di Heath Ledger, con l’intermezzo di “DueFacce”, già riveduto dal granitico Tommy Lee Jones in Batman Forever, in coppia con l’Enigmista, alias Jim Carrey. Oggi, ad addolcire le turbe da giustiziere mascherato, ci pensa Anne Hathawey, nelle seducenti forme di Selina Kyle, alias Cat Woman, dopo il benestare e gli auguri di Michelle Pfeiffer, forse dimenticandoci di uno “sfortunato” assolo dedicato all’antieroina, diretto da Pitof nel 2004, con Halle Berry in frusta e latex nero. Ma l’atmosfera apocalittica sceneggiata dal regista e Jonathan Nolan è tutta in debito col terrorismo ipertrofico dell’11 settembre, con un Bane (Tom Hardy) nerboruto e con tanto di museruola alla Hannibal Lecter, che sancisce un nuovo cardine col tradimento, in bilico tra personaggio e realtà sociale. Morgan Freeman (Lucius Fox) sostiene le conferme rassicuranti delle prodezze tecnologiche che si annoverano nel Batwing (vi ricordate il Bat-Plano?), mentre Michael Caine è l’ennesima riconferma di uno degli Alfred che più Alfred non si può, tra humor e compostezza “all english” degni di stima. Uscito negli USA il 20 luglio, in Italia possiamo consolarci con un inedito finale esclusivamente in terra tricolore, senza deludere le attese slittate per la prima del 29 agosto. La saga di Christopher Nolan è così giunta al suo ultimo atto, rimanendo fedeli all’ IMAX e rinunciando nuovamente al 3D, per conciliare l’originalità dark della graphic novel di papà Miller e per rimandare un nuovo restyling che solo la Warner potrà decretare... a suo tempo!

Paolo Vannucci

lunedì 16 luglio 2012

Alessandro d'Avenia e... "Cose che nessuno sa"!


A due anni dall’uscita del primo romanzo, il trentaquattrenne scrittore siciliano torna con una novella d’autore, tra liceo, adolescenza e i valori della crescita

Un padre, una figlia e un amore che deve ancora essere assaggiato... sono gli ingredienti per una perla da scoprire.  
  
Alessandro, il giovane professore di liceo (come nella vita, sceneggiatore e a Maggio sono iniziate le riprese del film tratto da Bianca come il latte, Rossa come il sangue) ci riprova, immerso nelle problematiche di un ragazzo al bivio con la propria maturità di uomo, in quelle responsabilità intrise di saggezza popolare e il mestiere di insegnare, usando i propri paradisi artifciali come una corazza facile per “fuggire”, ma non felice per “restare”... Restare vuol dire quannu l’amuri tuppulìa, ‘un l’ha lassari ammenzu a via, quando l’amore bussa non devi farlo entrare in casa... e quella casa si chiama Stella, intelligente, innamorata e che ora vuole “di più” da quel giovane uomo che ancora vede i libri come bambini, ciascuno con il suo odore buono, i suoi occhi e i suoi vezzi. Ma la vita, oggi, non può più essere una bici nera appoggiata frettolosamente ai margini di una strada. E il giovane prof sente quel sentimento come una “minaccia”, un limite nella sua missione quotidiana di educatore, protetto da un’aula di Liceo... in quella I liceo dove incontra gli occhi di Margherita. Quattordicenne... occhi verdi e capelli neri, ancora troppo vuota per poter capire la vita, ma troppo vuota per sapere che cos’è il Dolore. Un Padre che l’ha abbandonata, ...lei, suo fratello Andrea e la madre. Ma c’è nonna Teresa che sa capire il vuoto che la fa soffrire. Quel cerchio concentrico che si amplifica ogni volta, strati di se stessa densi come lacrime, capaci di diventare una perla dalle caratteristiche uniche ed irripetibili. Ma ogni perla ha il suo predatore,  artefice della propria trasformazione... e quegli occhi azzurri, quasi bianchi, in cui solo lei è capace di ritrovarsi, hanno un nome... Giulio. Misterioso, ribelle... e “rifugiato” dalla vita. Anche Giulio ha il suo stesso vuoto... schivo  e diffidente al punto di esserne protagonista assente. Il suo Dolore ha il volto della Madre che l’ha abbandonato... e questo è ancora più feroce di ogni altro ostacolo che si possa tramutare in astio... gelido rifiuto. L’Amore è la loro medicina, fuggitivi felici in quella macchina “trafugata” che li porta a Genova, ...alla ricerca del padre di Margherita. Un incidente... e tutto si frantuma, come un castello di sabbia naufragato nella marea, che trasporta conchiglie e rumori di lontano. La vita di Margherita appesa al filo di Atropo, che le dita di Cloto, abile tessitrice,  fanno volgere fino all’ultimo nodo che si chiama Morte. Ma una perla di rara bellezza possiede la durezza che la fa vivere, per essere ammirata da tutti. Essere Ammirata da Giulio. Essere aiutata da quello strano professore che, tra le lacrime della propria fragilità, riesce a capire il proprio ruolo nella vita di Stella... insieme a Stella... per sposarsi e costruire insieme quella vita che si chiama Felicità.

Una volta le ho chiesto: “Nonna, secondo te perchè non sono morta?”
E lei mi ha risposto: “Dio fici l’omo per sentirsi cuntare u cuntu”, Dio ha creato l’uomo per sentirgli raccontare le storie

www.profduepuntozero.it

Paolo Vannucci      

giovedì 12 luglio 2012

Chi è la più BELLA del REAME?


Due matrigne... due principesse... due mele, per il restyling della favola di Biancaneve, contesa da Lily Collins e Kristen Stewart
Schizofrenia  Pop e atmosfere Dark, per la più amata fiaba  folkloristica dei Fratelli Grimm, firmata dalla coppia Singh-Sanders. 
  
Quanto ci costa cara la nostra infanzia, se il prezzo da pagare  diventa una maturazione “forzata” dai rigidi canoni dati dall’intelletto, capace di cullarci in storie fiabesche che nel tepore materno regalano una magia, avida e crudele come solo la crescita stessa  può “frantumare”, ritrovandoci cresciuti, ma sempre nel riflesso di quello specchio  che ci fa severamente ricordare chi siamo veramente... e cosa vogliamo dalla vita! Se oggi, il cinema serve anche per riappropriarci del vero valore di quell’amarezza... benvenga, dunque, quell’aspra cattiveria capace di rinnegare anche le cose più semplici e apparentemente buone, facendoci scordare quelle frasi celebrate dagli stessi Fratelli Grimm, nei “C’era una volta” e “Vissero tutti Felici e Contenti”, perchè la “famigerata” coppia di registi Tarsem Singh (Biancaneve e/o Mirror Mirror in originale) e Rupert Sanders (Biancaneve & il Cacciatore), di quella “innocua” favola sembra proprio che non ne abbiano mai sentito parlare, almeno nelle velate intenzioni di chi, tra gli sceneggiatori, abbia solo voluto mantenere quella parvenza d’obbligo per preservare, quasi inalterato, il buon nome del titolo! Kristen Stewart, cavalleresca e bellissima (bisogna dargliene merito), sembra non solo combattere per essere, degnamente, la più bella e meglio riuscita del reame, convincendo tutti di essere la vera storia folkloristica che ognuno di noi ha sempre avuto nell’immaginario, forse ammettendo che qualche colpa di troppo possa ricadere nelle disegnate spoglie create dal kolossal disneyano, Biancaneve e i sette nani,  costato quattro anni di lavoro, per ottenere un Oscar speciale (di nome e di fatto, suddiviso in sette “piccole” statuine d’oro), tra le indimenticabili canzoni “Heigh Ho”  e una delle più diaboliche trasformazioni, che costarono censura e divieti all’uscita dell’epoca (eravamo nel 1937, nelle mani del regista David Hand). Oggi? Esiste sempre la Regina-Matrigna crudele (Julia Roberts e Charlize Theron), che vuole uccidere Biancaneve per mano di un cacciatore (Chris Hemsworth con la Bianca Stewart), mentre sparisce e si ritrova innocuo servitore nelle barocche forme interpretate da Nathan Lane, per la zuccherosa Lily Collins (figlia di papà Phil, noto batterista dei Genesis). E il Principe Azzurro?...qui arrivano i problemi, perchè con la Bianca Stewart il bacio d’Amore non funziona, lasciando fesso il principe William (Sam Claflin) per scappare con il rude cacciatore Eric, aiutati dai sette nani (otto, con lo sfortunato Gus, sacrificato), per ricostruire il regno delle fiabe soggiogato dalla Regina cattiva. Almeno, con la Bianca Collins, il Principe esiste... eccome! Viene baciato dalla Bianca Collins e la Mela avvelenata la rifila alla strega cattiva... e vissero tutti felici e contenti? Secondo noi si, ma i Fratelli Grimm hanno già querelato gli autori di cotanta audacia inventiva... tanto, oggi, le favole ce le raccontano i computers, mica le nonne... ma che le mele, rosse e avvelenate,... siano sempre mele! 
  
Paolo Vannucci

lunedì 2 luglio 2012

Stupefacente SPIDER-MAN!



Il ritorno del più amato supereroe Marvel, nella tela tessuta da Marc Webb, con Andrew Garfield nel ruolo del “Ragno”

Riavvio della saga, arrivata alla terza riedizione, per riportare il fumetto originale di Stan Lee e Steve Ditko all’autentico splendore, tutto rielaborato in 3D.    

Il ragno è tornato, ma non il solito personaggio “amichevolmente” ricucito in tuta rosso-blu, sempre devoto all’autentico fumetto Marvel disegnato da Steve Ditko, uscito per la prima volta nel ’62 e in Italia “appropriato” nel ’70, quando Nicholas Hammond indossò per primo la “famigerata” calzamaglia, nella serie televisiva diretta da E. W. Swackhamer, diventata poi l’omonimo primo episodio di una nostalgica trilogia, conclusasi nel ’79 con l’epitaffio L’Uomo Ragno sfida il Drago e il tutto affidato alle serie animate che hanno coinvolto la prolifica Toei Animation, partecipe degli innumerevoli restyling del personaggio. Ma la più effimera rielaborazione cinematografica  di Spider-Man arriva dopo circa un ventennio, per mano di Sam Raimi, accollato alla Sony, debitore di quelle prodezze tecnologiche che hanno devoluto stile e fumetto saldi alla grafica tanto cara ai “fedelissimi” di Spidey: ansia adolescenziale, pasticci ormonali e solare filosofia, tutto affidato al giovane Tobey Maguire, che in cinque anni di uscite cronologicamente numerate (tre episodi, dal 2002 al 2007), ha regalato il Peter Parker più adorabile che il cinema abbia potuto elargire, complici le storie e i personaggi ricamati dal decennio Marvel più glamour (’70-‘80, per intenderci), con una schiera di “fedeli cattivissimi” annoverati nei nomi di Willem Dafoe (Goblin), Alfred Molina (DOC-OC) e Topher Grace (Venom), affiancati da Kirsten Dunst (Mary Jane) e James Franco (Harry Osborn, figlio di Norman/Goblin), inseparabili sino al terzo capitolo della saga. Oggi, il nostro diciassettenne Parker torna più accattivante che mai, nella atletica fisicità di un Andrew Garfield che ricalca fedelmente l’ironia e le prodezze ginniche di un ragno alle prese con problematiche molto sopra le righe, riappropriandosi di una biondissima Gwen Stacy (Emma Stone), compagna di Peter e assistente del ricercatore Curt Connors (Rhys Ifans, reduce dalla tragedia shackespeariana di Emmerich), antagonista del nostro eroe, nelle terrificanti spoglie di Uomo-Lucertola nel nome di Lizard. Marc Webb dirige un film egregiamente magistrale, abbandonando l’idea di un quarto episodio dato in eredità dal buon Raimi, per ricominciare tutto dal principio, con il sapore acre dei colori di quelle tavole disegnate nel sessanta, devoluto dalla fotografia di John Schwartzman, maniacale nei virtuosismi cromatici, umorali come lo stesso protagonista, impregnato nelle stressanti angosce che si divincolano come testi di un fumetto senza tempo che ritrova la sua originale dimensione, complice la nuova era firmata RED Epic Camera, figlia del 3D. Novanta giorni di riprese, dal 2010 ad oggi, per essere nuovamente pronti a cadere nella tela del più “problematico” adolescente della storia del fumetto americano... ringraziando Stan Lee per tanto estro in punta di matita... “dal vostro amichevole vicino di casa Spider-Man!”

Paolo Vannucci     

lunedì 25 giugno 2012

DiCinema: la nuova Hollywood

Un viaggio nello star system mondiale, per conoscere gli attori e i registi  che hanno rinnovato l'ultima generazione di miti in celluloide

Volto angelico e sensuale, la bellezza di un'attrice che ha ridato valore alle icone Hollywoodiane senza tempo, nelle grazie seducenti di Madeleine Stowe.  
 

Le abbiamo sempre desiderate così, da quando Ava Gardner era  Il Bacio di Venere e Rita Hayworth la spietata amante di Gilda, per non tralasciare la dolcezza di Jennifer Jones immortalata da De Sica nel suo nostalgico Stazione Termini, icone intramontabili di quella seduzione che si chiama desiderio. Tante attrici si sono "prodigate" per perpetuare quel clichè tanto caro al pubblico maschile, a volte ricorrendo a quelle "scorrettezze" che hanno fatto la fortuna di audaci caratteri immolate alla semantica cinematografica dei tempi moderni (vedi la Stone nel feticcio Instinct di Verhoeven o la Close nell'attrazione più fatale di Adrian Lyne). Oggi abbiamo un recente passato caratterizzato da un ventennio che ha segnato, nei pregi e difetti, il meglio della commedia drammatica devoluta in ogni genere, e Madeleine Stowe è, senza dubbio, una delle grandi attrici che ha saputo elargire bellezza e talento recitativo, anche quando il disimpegno sembra destabilizzare gli oneri di una critica che "felicemente" preferisce demonizzare a scapito della gloria. Classe '58, nel segno del Leone, con studi riversati nei corsi universitari di Cinema e Giornalismo, il battesimo cinematografico della Stowe avviene con la serie televisiva Baretta, per approdare al primo ruolo importante nella commedia diretta da John Badham, Sorveglianza... Speciale, accanto a Richard Dreyfuss e Emilio Estevez, poliziotti nebulizzati dalle grazie di una cameriera, che detiene la refurtiva per mano di un ricercato. Ma il colpo grosso viene fatto da Tony Scott, nel suo prolifico Revenge (recentemente riadattato e interpretato come serie televisiva), moglie bellissima e contesa dal solito dualismo affidato ad Anthony Quinn e Kevin Costner. Prova di merito al sequel di Chinatown, diretto e interpretato da Jack Nicholson, Il Grande Inganno, con un cast di prestigio che annovera nomi tra i quali Harvey Keitel, Meg Tilly e il cameo feticcio di Faye Dunaway. Incursione degna di merito nel Thriller drammatico diretto da Jonathan Kaplan, Abuso di Potere, nella solita disputa amorosa interpretata da Kurt Russell e Ray Liotta, rispettivamente marito e un agente addetto alla sicurezza, un pò troppo "invadente". La più meritevole celebrazione arriva con il film Kolossal di Michael Mann, L'Ultimo dei Mohicani, tratto dal romanzo scritto nel 1826 da J. Fenimore Cooper, cosceneggiato dallo stesso regista con Christopher Crowe, per il remake dell'omonimo diretto nel 1936, per riproporre romanticismo e azione storica, affidati alle doti di Daniel Day-Lewis e Wes Studi. Ritorno di fiamma per Kaplan, nel suo feticcio western Bad Girls, nella corale e più improbabile raccolta di prostitute "dal cuore d'oro" volute da Hollywood (Mary Stuart Masterson, Andie MacDowell e Drew Barrymoore le coprotagoniste), per immergersi nell'apocalittico cinecult diretto da Terry Gilliam, L'esercito delle Dodici Scimmie, per poi divagare nel caotico giallo-drammatico voluto da Simon West, La Figlia del Generale, tra i disimpegni disarticolati di John Travolta, James Woods e Timothy Hutton. Lasciato il grande schermo, la carriera di Medeleine si infittisce di produzioni televisive, tra le più meritevoli Southern Comfort, Raines e Revenge.

Di seguito, tutti i film dell'attrice:

Baretta (1978) - serie Tv
Blood & Orchids - serie TV (1986)
Sorveglianza... speciale (Stakeout), regia di John Badham (1987)
Revenge, vendetta (Revenge), regia di Tony Scott (1990)
Il grande inganno (The Two Jakes), regia di Jack Nicholson (1990)
Closet Land, regia di Radha Bharadwaj (1991)
Abuso di potere (Unlawful Entry), regia di Jonathan Kaplan (1992)
L'ultimo dei Mohicani (The Last of the Mohicans), regia di Michael Mann (1992)
America oggi (Short Cuts), regia di Robert Altman (1993)
Occhi nelle tenebre (Blink), regia di Michael Apted (1994)
China moon - Luna di sangue (China Moon), regia di John Bailey (1994)
Bad Girls, regia di Jonathan Kaplan (1994)
L'esercito delle dodici scimmie (Twelve Monkeys), regia di Terry Gilliam (1995)
Scherzi del cuore (Playing by Heart), regia di Willard Carroll (1998)
La proposta (The Proposition), regia di Lesli Linka Glatter (1998)
La figlia del generale (The General's Daughter), regia di Simon West (1999)
Impostor, regia di Gary Fleder (2002)
The Magnificent Ambersons, regia di Alfonso Arau - Film TV (2002)
We Were Soldiers - Fino all'ultimo uomo (We Were Soldiers), regia di Randall Wallace (2002)
Avenging Angelo - Vendicando Angelo (Avenging Angelo), regia di Martyn Burke (2002)
Octane, regia di Marcus Adams (2003)
Saving Milly - Film TV (2005)
Southern Comfort - serie TV (2006)
Raines - serie TV, 5 episodi (2007)
The Christmas Hope - Un regalo speciale - Film Tv (2009)
Revenge - serie TV, 22 episodi (2011)

giovedì 31 maggio 2012

Ma quale CANNES?


Impeccabili, denigratori e autentici: i film che hanno insignito la 65° edizione del Festival di Cannes, nel nome di Cronenberg

Dalla Palma d’Oro del regista/attore Michael Haneke con Amour, alla nemesi esistenziale di Robert Pattinson, per finire con la grottesca “denuncia” all’italiana di Matteo Garrone.    

Per il Red Carpet più atteso della stagione cinematografica mondiale made in Europa, c’erano proprio tutti, patrocinati da un Nanni Moretti “rispettabilmente”entusiasta di come siano stati egregiamente devoluti oneri e meriti ad un cinema che nella semantica contemporanea ha dimostrato di essere all’altezza di una Società dichiaratamente in crisi di “Valori”. Mentre Michelle Williams rievoca le grazie patinate della Monroe, nel biopic dell’attrice intramontabile di una plasticità iconastica che l’ha consacrata sino all’estremo, le stelle contemporanee non hanno di certo risentito di mancata celebrità, partendo da una Kidman sempreverde (The Paperboy), seguita da un Brad Pitt che sembra non risentire ancora dell’incedere di nuove leve destinate allo scettro di sex-symbol, richiamato da Andrei Dominik dopo il “colpaccio” di Jesse James, per Killing Them Softly. Ma Cannes è fatto per il Cinema, ed è quello che è stato soppesato, criticato e giustamente premiato, lasciando quei vuoti destinati ai nomi che hanno mantenuto tante attese aspettative, enunciando il tanto declamato David Cronenberg, “astro cadente” dell’edizione,  giustamente innalzato dalla critica per il suo Cosmopolis, complice il carisma del meritevole Robert Pattinson, “provato” da una sceneggiatura che lo ha voluto in viaggio su una bianchissima auto di lusso, alle prese con i problemi finanziari di un ventottenne uomo in carriera, “separato in casa” da una Kirsten Stewart, nell’analogo On the Road di Walter Salles. La Palma d’Oro è toccata al film intimista, diretto e interpretato da Michael Haneke, Amour,  nella tragedia della malattia che segna la vita di due coniugi artisti, tracciando un profilo umano da intenditori (già vincitore nel 2008 con Il nastro bianco),  facendo dimenticare le improbabili scivolate fuori concorso, vedi l’improponibile Dario Argento’s Dracula, affiancabile solo al Madagascar 3, per non deturpare l’autentica maestria di Bernardo Bertolucci con il suo Io e Te. Ma l’Italia ha ancora una volta avuto il suo Garrone quotidiano, bissando il precedente Gomorra (increduli, dopo le traversie giudiziarie), riproponendo grottesche marionette di una povertà partenopea che nei "prograammi" verità televisivi riesce a trovare la propria giusta autoeliminazione. Per chi volesse sapere il titolo, dopo i vari cinepanettoni vacanzieri alla Vanzina, a cui il regista deve tutto... Reality.

Palma d’oro: Amour di Michael Haneke
Gran premio: Reality di Matteo Garrone
Miglior attrice: ex aequo per Cristina Flutur e Cosmina Stratan in Beyond the Hills di Cristian Mungiu
Miglior attore: Mads Mikkelsen in The Hunt di Thomas Vinterberg
Miglior regia: Post tenebras lux di Carlos Reygadas
Miglior sceneggiatura: Beyond the Hills di Christian Mungiu
Premio della giuria: The Angels’ Share di Ken Loach

Paolo Vannucci

mercoledì 16 maggio 2012

DiCinema: la nuova Hollywood


Un viaggio nello star system mondiale, per conoscere gli attori e i registi  che hanno rinnovato l’ultima generazione di miti in celluloide

Scaltro amatore, irriverente e sportivo dongiovanni: il volto di Hollywood che ha segnato la nuova commedia americana, nel talento di Dennis Quaid.
  
Beffardi e impegnati, con quella “faccia da canaglia” che scioglie i cuori di ferventi ammiratrici e “invidiosi” emulatori di tanta disinibita ostentazione. Hollywood li ha sempre cercati così, in bilico tra realtà e finzione, come ogni vero artista deve essere.  Dennis Quaid è decisamente uno degli attori che ha saputo deliziare la sofisticata commedia, senza danneggiare il risvolto drammatico che ogni talento deve saper confermare. Fratello di Randy Quaid, senza dubbio di comprimario valore nella carriera artistica di entrambi, la carriera da Dennis stenta a “decollare”, prima con un battesimo televisivo nella serie TV Baretta, per passare al primo cinecult firmato Peter Yates, All American Boys, 6 nomination all’Oscar e uno vinto per la sceneggiatura, elaborata revisione del sogno americano costruito sulla determinazione sportiva, non l’ultimo, visto l’analogo biopic sul football girato in coppia con Jessica Lange, Un Amore una Vita. Incursione “ad effetto” nel terzo episodio della saga battezzata da Spielberg de Lo Squalo, per approdare al celebrato cult fantascientifico-intimista di Wolgang Petersen, Il Mio Nemico, insieme a Louis Gossett Jr. nel ruolo dell’alieno, parabola cinematografica sulla diversità. Ritorno di fiamma del regista Peter Yates con il drammatico Suspect-Presunto colpevole, in coppia con la cantante-attrice Cher sulla scia delle aule di tribunale,  per approdare alla felice commedia di successo, Innerspace-Salto nel buio, restyling del cult diretto da Richard Fleischer  nel ’66, Viaggio Allucinante, con la vena comica irresistibile di Martin Short, vincitore di un Oscar per gli Effetti Speciali, coprodotti da Spielberg. Grande incursione musicale sulla vita di Jerry Lee Lewis, nel Great Balls of Fire diretto da Jim McBride, con Winona Ryder nei panni della cugina, per consolidare la propria capacità e talento nel capolavoro di Alan Parker, Benvenuti in Paradisoepopea famigliare (deliziosa Tamlyn Tomita) sullo sfondo della Seconda Guerra Mondiale, tra i campi di prigionia per i deportati nipponici in terra americana. Lawrence Kasdan lo vuole nel Doc Hollyday di Wyatt Hearp, mentre Rob Cohen lo rilancia nel fantasy con Dragonheart, primo prequel di un filone che farà la fortuna di Peter Jackson nel nuovo millennio, per approdarci con il drammatico Frequency-Il Futuro è in ascolto, diretto da Gregory Hoblit, comprimario di James Caviezel. Roland Emmerich lo conferma nell’apocalittico The Day After Tomorrow, per poi deliziare la commedia patinata nel In Good Company, complici Scarlett Johansson e Topher Grace, diretti da Paul Weitz. Incursioni di analoga importanza, nei successivi G.I. JOE-La nascita dei COBRA, e il restyling voluto da Craig Brewer del cinemusical Footloose.

Di seguito, tutti i film interpretati dall’attore:

Baretta (1977) - serie Tv
All American Boys (Breaking Away) (1979), regia di Peter Yates
I cavalieri dalle lunghe ombre (The Long Riders) (1980), regia di Walter Hill
La notte in cui si spensero le luci in Georgia (The Night the Lights Went Out in Georgia) (1981), regia di Ronald F. Maxwell
Il cavernicolo (Caveman) (1981), regia di Carl Gottlieb
Bill (1981), regia di Anthony Page - Film TV
Dreamscape, fuga nell'incubo (Dreamscape) (1983)
Lo squalo 3 (Jaws 3) (1983), regia di Joe Alves
Uomini veri (The Right Stuff) (1983), regia di Philip Kaufman
Il mio nemico (Enemy Mine) (1985), regia di Wolfgang Petersen
Suspect - Presunto colpevole (Suspect) (1987), regia di Peter Yates
The Big Easy (The Big Easy) (1987), regia di Jim McBride
Salto nel buio (Innerspace) (1987), regia di Joe Dante
D.O.A. cadavere in arrivo (Dead on Arrival) (1988)
Un amore una vita (Everybody's All American) (1988), regia di Taylor Hackford
Great Balls of Fire! - Vampate di fuoco (Great Balls of Fire) (1989), regia di Jim McBride
Benvenuti in paradiso (Come See the Paradise) (1990), regia di Alan Parker
Cartoline dall'inferno (Postcards From the Edge) (1990), regia di Mike Nichols
Coppia d'azione (Undercover Blues) (1993), regia di Herbert Ross
Triangolo di fuoco (Wilder Napalm) (1993)
Omicidi di provincia (Flesh and Bone) (1993), regia di Steve Kloves
Wyatt Earp (Wyatt Earp) (1994), regia di Lawrence Kasdan
Qualcosa di cui... sparlare (Something to Talk About) (1995), regia di Lasse Hallström
Dragonheart - Cuore di drago (Dragonheart) (1996), regia di Rob Cohen
Istinti criminali (Gang Related) (1997), regia di Jim Kouf
Linea di sangue (Switchback) (1997), regia di Jeb Stuart
Scherzi del cuore (Playing By Heart) (1998), regia di Willard Carrol
Genitori in trappola (The Parent Trap) (1998), regia di Nancy Meyers
Savior (Savior) (1998), regia di Predrag Antonijević
Ogni maledetta domenica (Any Given Sunday) (1999), regia di Oliver Stone
Frequency - Il futuro è in ascolto (Frequency) (2000), regia di Gregory Hoblit
Traffic (Traffic) (2000), regia di Steven Soderbergh
A cena da amici (Dinner with Friends) (2001), regia di Norman Jewison - Film Tv
Un sogno, una vittoria (The Rookie) (2002), regia di John Lee Hancock
Lontano dal paradiso (Far From Heaven) (2002), regia di Todd Haynes
Oscure presenze a Cold Creek (Cold Creek Manor) (2004), regia di Mike Figgis
The Day After Tomorrow - L'alba del giorno dopo (The Day After Tomorrow) (2004), regia di Roland Emmerich
Alamo - Gli ultimi eroi (The Alamo) (2004), regia di John Lee Hancock
Il volo della fenice (The Flight of the Phoenix) (2004), regia di John Moore
In Good Company (In Good Company) (2005), regia di Paul Weitz
I tuoi, i miei e i nostri (Yours, Mine and Ours) (2006), regia di Raja Gosnell
American Dreamz (American Dreamz) (2006), regia di Paul Weitz
Prospettive di un delitto (Vantage Point) (2008), regia di Pete Travis
The Express (The Express) (2008), regia di Gary Fleder
The Horsemen (The Horsemen) (2008), regia di Jonas Åkerlund
G.I. Joe - La nascita dei Cobra (G.I. Joe: Rise of Cobra) (2009), regia di Stephen Sommers
Pandorum - L'universo parallelo (Pandorum) (2009), regia di Christian Alvart
Legion (Legion) (2010), regia di Scott Stewart
I due presidenti (The Special Relationship) (2010), regia di Richard Loncraine
Footloose (2011), regia di Craig Brewer
Che cosa aspettarsi quando si aspetta (What to Expect When You're Expecting), regia di Kirk Jones (2012)

venerdì 4 maggio 2012

Hollywood si rinnova con la sfida di HUNGER GAMES

Cacciatori e vittime, nell’arena apocalittica nata dalla scrittrice Suzanne Collins, per il nuovo culto adolescenziale post Twilight

  Fantascienza intrisa di rimandi a un cinema che “sacrifica” soggetti adulti e problematiche giovanili, per la nuova fenice diretta da Gary Ross. 

 E’ inutile opporsi alle pretese delle nuove generazioni, quando sembra tutto manovrato da un “Mangiafuoco” che è sempre in cerca di svogliati seguaci di un cinema disimpegnato, ma che riesce ad entusiasmare “grandi e piccini”, spettatori paganti di una nuova moda di favole narrate nell’era dell’Ipad. Tutto è iniziato nei ‘70 chic, quando Michael Anderson rielaborò il romanzo scritto a quattro mani da William F. Nolan e Geoge Clayton Johnson, per essere quel La Fuga di Logan, sobriamente interpretato da Michael York e Peter Ustinov, novella futurista di una società regolata da un Carosello che raggira devoti contribuenti, nel nome di una Fede debellata da uno Statuto assassino. Stessa ideologica sorte per il culto uscito l’anno successivo (siamo nel 1976) firmato da Norman Jewison, dove un James Caan era (o sarà?) il gladiatore idolo di una Società che è riuscita a debellare la Guerra, incanalando Violenza e Sport in unico tributo chiamato Rollerball. Assuefatti ma non stanchi, ci ha riprovato Michael Bay nel 2005 (The Island), anestetizzando una Società tenuta “nascosta”, perfetti cloni di un mondo reale che garantisce privilegi e benessere alla classe più abbiénte. Oggi è il turno di Gary Ross, reduce da un analogo Pleasentville, per decorare di misticismo cinematografico, la trilogia scritta da Suzanne Collins. Il titolo è The Hunger Games, opera senza sequel, làscito delle innumerevoli saghe dedicate al culto vampiresco iniziato dalla Meyer con Twilight, oggi all’ultimo capitolo in attesa per l’uscita in sala in quel di Novembre. La nuova eroina è servita a dovere (Jennifer Lawrence, alias Katniss), moderna Cenerentola con la Sindrome di Robin Hood, immolata al gioco crudele per salvare la sorellina dodicenne, estratta dalla Lotteria che declama i Tributi, elargiti con cinica sobrietà televisiva, degnamente caratterizzata da Stanley Tucci (il conduttore Caesar Flickerman). Un apocalittico Reality Show dove i partecipanti ne possono solo uscire realmente sopravvissuti (complici le traversie Made in Italy offerte dalla RAI?), e sotto gli occhi di uno spettatore pagante (noi) che contuiniamo a chiedere sempre di più. La morale cinica di uno spettacolo circense interattivo, dove gli SMS che decretano le nomination sono veri e propri doni di cibo che “aiutano” i partecipanti a proseguire alla loro stessa autoeliminazione. Morte e Romanticismo sono, dunque, i principi animatori di questa giostra psichedelica, orchestrata dal regista, che allunga le mani “a più non posso”, tra gli stessi istrionismi cromatici offerti da Buz Luhrmann nel suo “autentico” Romeo+Giulietta, immergendo Lenny Krevitz (Cinna), Donald Sutherland (Presidente Snow) e lo stesso Woody Harrelson (l’anima redentrice Haymitch), in questa “aberrante” love story a lieto fine, dove il male viene sempre punito e l’esito è un risultato ambiguo di quella stessa equazione. Chi sarà la prossima vittima?

 Paolo Vannucci

martedì 10 aprile 2012

E CHI LO DICE CHE NON SI ESCE VIVI DAGLI ANNI 80?


Dall’Argentina con furore, la rivoluzione del nuovo millennio delle telenovelas sudamericane, esclusivamente in salsa teenager

Da “Il Mondo di Patty” a “Champs 12”, la nuova moda televisiva che ha “catodizzato” il pubblico adolescenziale, strizzando l’occhio a chi ne sà di più.

Ne è passato di tempo, da quando il palinsesto della neonata tv commerciale “voluta” da Berlusconi era un continuo contendersi i favori e l’Auditel delle casalinghe devote a quelle nevrotiche maratone pomeridiane che non lasciavano tregua, tra una “Mamma RAI” debordata dal titanico DALLAS in conflitto con la seducente malizia della Collins “made in DYNASTY”, che non temevano il confronto con la spavalda audacia di quella neonata produzione sudamericana che osava di più, contrapponendo “Anche i ricchi piangono” (ahhh... malinconica Veronica Castro) alla prolifica vena statunitense fortificata in Sentieri (mentre Bold and Beautiful iniziava la sua “estenuante” ascesa con il benestare di Capitol, tra interscambi di prime serate “complici”), ignari di diventare interminabili saghe semiepistolarie, con interpreti che allungavano il passo a colleghi che volentieri ridavano volto e fattezza senza fotoritocco (ahimè, oggi si fa così). In Italia, hanno fatto la fortuna di qualche produzione che neppure in America avrebbero sperato tanto, vedi Quando si Ama (Loving, la serie originale, è proprio il caso di dirlo), dove alcuni episodi furono ambientati a “casa nostra”, proprio per omaggiare tanto inaspettato successo. Luca Ward era la voce-idolo di Palomo, in perfetto look capello permanentato lucido- piratesco, nei salotti di Patrizia Rossetti, madrina dei pomeriggi di Rete 4, anticipando la contemporanea Milly Carlucci che cerca (invano?) di far “danzare” combinate coppie di “gente di spettacolo”, ritrovandoci un Ridge (Ron Moss, l’attore...) che vuole ancora stupire le sue fans. Di certo, ha vinto Andrè Gil, ventenne protagonista della “Telenovelas” made in Disney Channel, Il Mondo di Patty, resa pubblica su Italia 1 solo lo scorso anno, per tastare una audience senza payTV... tanto noi tutti abbiamo RaiGULP, e di produzioni italiane ne contiamo a dozzine, vedi la primissima riedizione di Kiss me Licia, con la stessa Cristina D’Avena, cantante idolo delle sigle televisive anni 80, a dare voce e volto in carne e ossa all’omonima trasposizione del cartone animato. Oggi, il risultato è identico... traumatizzati o meno, ma per fortuna la fascia di età a cui, presumibilmente, tali produzioni sono rivolte è rimasta immutabile. Quindi benvengano tutte queste sobrie adolescenti in cerca del loro primo bacio, tanto la tv può ancora servire a qualcosa, mentre per chi è più “grandicello”, si consiglia “caldamente” Champs12, vero alveare di giovani bellezze che non hanno nulla da invidiare alle “consorelle” Megan Fox e Liz Taylor, rispettivamente Dolores e Paula Castagnetti, a proprio divertito agio in simili dipartite di Cuore. Per i più masochisti: www.champs12.com

Paolo Vannucci

lunedì 26 marzo 2012

ALLAN POE indagato tra le pagine di THE RAVEN


John Cusack interpreta lo scrittore culto della letteratura gotica americana, nelle mani del regista James “V” McTeigue

Dal regista di "V per Vendetta", l’inedita trasposizione del padre precursore del romanzo noir e poliziesco, nel capolavoro cult dello scrittore.

“Un corvo si adagia stanco su di un ramo, mentre l’eco del suo richiamo pervade la gelida scena di un delitto”. Bastano queste brevi righe per introdurre l’immaginario collettivo degli estimatori (e non) di quella cultura letteraria nata a metà ottocento, dai natali esclusivamente statunitensi e riassunta in un nome che ha firmato i racconti più celebri di quel genere noir che ha definito lo stile gotico di intere generazioni rinnovate sino ad oggi, devote ai titoli che hanno infervorato la fantasia dell’autore Edgar Allan Poe, dall’omonimo The Raven (il corvo), scritto nel 1845 insieme ad una raccolta di poesie, attingendo dalla prosa shakespeariana da cui è debitore, mantenendo quell’autenticità che ha definito lo stile poliziesco, riversato nel personaggio di Auguste Dupin, nato nel 1841 per i giornali dell’epoca (il Gift e Graham's Magazine), da quel racconto inedito I delitti della rue Morgue, ispirando lo stesso regista James McTeigue nel ridosare quegli stessi ingredienti (da non tralasciare Il Pozzo e il pendolo e Lo Scarabeo d’Oro tra i titoli dello scrittore), per riproporre “l’originale” The Raven come biopic di Poe. Distaccandosi dalla plastica dinamicità lasciata alla Graphic Novel del celebre V per Vendetta, surrogato postadolescenziale di “Orwell 1984” (discutibile), rubando John Cusack dal filone apocalittico-catastrofico di Emmerich, per non debilitare l’attore nel ritrovato ruolo di scrittore “squattrinato” (lo stesso Allan Poe deturpato dai diritti d’autore per l’omonimo romanzo pubblicato all’epoca), McTeigue ridona forma e contenuti (restyling degno del collega cineasta Oliver Parker per il “suo” Dorian Gray) a questa riuscita riedizione, senza tralasciare nessun dettaglio al caso (appunto), partendo dallo stesso Luke Evans nel ruolo del detective Emmett Fields, lettore non estimatore dei racconti di Poe, incaricato a risalire all’artefice dei delitti di un omicida che usa i saggi dello scrittore come mittente assassino. In un’atmosfera celebrata dalle scenografie di Roger Ford e dalla fotografia di Danny Ruhlmann (orchestrati dagli effeti speciali di Paul Stephenson e Szilvia Paros), si ritrovano gli stessi indizi trafugati dalla vita dello scrittore, in una inedita Emily (l’attrice Alice Eve), l’amore ostacolato dal padre nell’autentica Sarah Elmira Royster, tra le tante muse che hanno animato l’animo romantico dello scrittore. Tutto si evolve in quel perfetto mix di ironia e noir gotico degni dell’autore. In una lettera scritta a Kennedy nel 1835, uno dei pochi suoi ammiratori, Poe si confessò:« Sono in uno stato depressivo spirituale mai fino a ora avvertito. Mi sforzo invano sotto questa malinconia e credetemi, quando Vi dico che malgrado il miglioramento della mia condizione mi vedo sempre miserabile. Consolatemi Voi che lo potete e abbiate di me pietà perché io soffro in questa depressione di spirito che se prolungata, mi rovinerà… ». La risposta alle critiche caratteriali e bizzarre dell’amico fu la sua stessa ammissione: « Dopotutto potrebbe essere vero che i miei racconti siano scritti per scherzare anche se è possibile che questo scopo sia rimasto ignoto in parte anche a me. »

Paolo Vannucci

lunedì 5 marzo 2012

QUELLI CHE DISSERO NO


Premier della destra “rimandati” in prescrizione, Zar russi riconfermati dal popolo “sentitamente” commossi... e c’è chi dice NO?

Analisi di una società dispersa, attraverso uno spaccato morale di un dopoguerra ancora drasticamente attuale, nelle pagine scritte da Arrigo Petacco.

“Veramente i campi erano cinque, ma formavano un blocco solo. Vi si praticavano tutti gli sport e si mangiava bene. Era proprio bello stare là. Le nostre baracche erano comode. Era un’altra vita. Credevi mai di essere trattato così bene dai nemici!”

Siamo ancora sempre italiani, oggi come allora, quando l’8 settembre ’43, l’allora capo del Governo Pietro Badoglio annunciò la firma dell’Armistizio con gli Alleati, trasformando in fantasmi quei quasi seicentomila soldati, prigionieri nei vari campi allestiti da inglesi e americani, senza una bandiera a cui fare riferimento, divisi dal fascismo crollato e un re costretto alla fuga.

“Fascismo o antifascismo, monarchia o repubblica non rappresentavano d’altronde i veri termini del dissenso. Ciascuno avrebbe voluto dire la sua, spiegare il perchè e il percome della propria decisione, ma non c’era verso: era consentito soltanto un monosillabo, si o no”.

La stessa domanda che ci facciamo oggi, ricercando un improbabile ordine tra “giochi di potere” che rimandano a farse rielaborate, in preda ai deliri di onniscenza che padroneggiano, con sfacciata, denigrante imposizione, le trame di un mediatico processo di autoassoluzione. Chi sono i vinti e i vincitori? Un Luigi Fasulo emulò un attacco terroristico, “atterrando” contro il nostrano grattacielo Pirelli (ma sì, chiamiamolo pure PIRELLONE), attoniti e increduli, “mooolto” di meno di uno Schettino che ammonisce con un pittoresco “iamme... và”, ammutinando una nave da crociera, telefonino in mano, sotto le imprecazioni di un Capitano De Falco, rimpiangendo forse i fasti di un Poseidon, arenato “tra le braccia del Titanic”. Eppure continuiamo a voler credere che possa essere tutto frutto di una “dissacratoria” voglia di emulazione, con tanto di veri protagonisti di un Reality Show raccapricciante, sulle spalle di una crisi economica che oscilla sulle parole esangui di un Monti che sembra costretto a fare il doposcuola, mentre Berlusconi si “dimentica” che c’è un Segretario di Partito in carica, rimediando un calcio d’angolo con incursioni da ritrovato Presidente di un Milan, rollando un Galliani che sembra partecipare a “Quelli che il Calcio”, imprecando per poi sorridere, dietro le traversie di un Signori, che reclama una Nazionale “onesta” all’unico che crede di fare squadra nel nome che fu in quel di Prandelli (o a brandelli), mentre continuiamo a essere italiani.

“Anni dopo, nel 1951, il competente distretto militare inviò a utti i “condannati”, il seguente comunicato

La punizione a gg.5 A.S. inflitta – all’atto del rimpatrio – dalla commissione centrale per l’interrogatorio degli ufficiali reduci dalla prigionia è da considerarsi annullata.

Fu un’ipocrita riabilitazione generale o la riparazione consapevole di un’ingiustizia? Chissà...”

Paolo Vannucci

martedì 14 febbraio 2012

DiCinema: la nuova Hollywood


Un viaggio nello star system mondiale, per conoscere gli attori e i registi che hanno rinnovato l’ultima generazione di miti in celluloide

Uno dei Sex Symbol più acclamati dell’ultima generazione, nel camaleontico fascino del degno erede di Robert Redford, Brad Pitt.

Tanti aspiranti giovani attori hanno sfidato la sorte, cimentandosi all’ombra del “Gigante”, troppo breve per poter elargire meriti più eccelsi e troppo grande per poter essere riciclato nel limbo delle stelle cadenti di Hollywood. Sicuramente, di strada ne ha fatta, quel “ragazzotto” dell’Oklahoma dotato non solo di fascino (indispensabile, per carità), ancora troppo acerbo per poter essere accostato al suo più accreditato pigmalione, quel mito consacrato da “Rob” Redforfd, che lo ha voluto, diretto e impalmato nella maturazione d’attore, necessaria per poter meritarsi lo scettro di autentico, insostituibile, bellissimo astro della eterna Mecca del cinema mondiale. Classe ’63, mancato giornalista (per fortuna!), quello sprovveduto “uomo-sandwiches” che si aggirava per le strade in cerca di soldi e aspirazioni, prima di diventare l’autostoppista Robin Hood del Thelma e Louise di Ridley Scott, ha fatto la sua robusta gavetta nelle accreditate partecipazioni televisive, passando tra i set di Genitori in Blue Jeans, Dallas e 21 Jump Street (un episodio, al fianco dell’amico e confermato protagonista della serie, Johnny Depp), per arrivare al cinema da vero “new-talent”. Tutto ha inizio con Senza via di scampo, battesimo nel genere spionistico che lo rivedrà protagonista nei successivi Seven di David Fincher, L’Ombra del Diavolo di A.J.Pakula (ottimo Harrison Ford come spalla) e Spy Game di Tony Scott, riuscitissima incursione al fianco di Redford, che dieci anni prima lo dirige nel romanzato In mezzo scorre il Fiume, nei panni del reporter pescatore Paul McLean (Oscar alla fotografia per il francese Philippe Rousselot). Divagazioni nel fantasy adolescenziale, prima con Johnny Suede (scanzonato rockabilly diretto da Tom DiCillo) e nel clone di Roger Rabbit, Fuga dal mondo dei Sogni, investigatore dandy alle prese con una seducente Kim Basinger “disegnata” da Gabriel Byrne. Sballato e maledetto, al fianco della partner sentimentale del periodo, Juliette Lewis, nel Kalifornia di Dominic Sena, semi-riuscito road movie di facile presa, per riprenderne lo stile nel successivo Una Vita al massimo, ennesima opera di Tony Scott, con una sceneggiatura firmata da Quentin Tarantino. Neil Jordan lo “immortala” seducente vampiro nell’ Intervista col Vampiro (appunto), al fianco di un demoniaco iniziatore Tom Cruise, per passare all’epico posticcio di Edward Zwick, Vento di Passioni, affiancato da un patriarcale Anthony Hopkins e dall’ennesima partner sentimentale di turno Julia Ormond. Terry Gilliam lo vuole “pazzo e rasato” al fianco di Bruce Willis (come lo stesso Nicholson potrebbe desiderare), ne L’esercito delle 12 Scimmie, mentre Jean Jaques Annaud lo converte al buddismo (dopo un passato in Scientology) nel monumentale Sette anni in Tibet. E’ il turno di Martin Brest, miracolato dal Profumo di Donna, per l’ennesimo remake di Vi presento Joe Black, bellissima rivisitazione al classico patinato, supportato da Hopkins e l’ennesima partner Claire Forlani. Gore Verbinski lo impasta nel suo tipico stile onirico-demenziale, con The Mexican (Julia Roberts quasi non accreditata), per “affondare” nei vari Oceans Eleven-Twelve-Thirteen, diretti in pacco da Steven Soderbergh, con ciliegina George Clooney. Capolavoro, nella rivisitazione omerica ricostruita da Wolfgang Petersen, Troy, nei pani di Achille (ottimo Eric Bana nel troiano Ettore), per affiancarsi alla partner e consolidata moglie Angelina Jolie, nella “movimentata” coppia di Mr. & Mrs. Smith. Finalmente la prima consacrazione agli oneri di miglior attore, nella Coppa Volpi vinta con L’Assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford, per sfiorare l’Oscar con Il curioso caso di Benjamin Button di David Fincher e il successivo Bastardi senza Gloria, sgangherata parodia demenzial-nazzista voluta da Quentin Tarantino. Baciato dal “furbesco” tocco di Terrence Malick sul “viale del tramonto” nel The Tree of Life, lo ritroviamo, oggi, alle prese con una squadra di baseball da rilanciare ne L’Arte di Vincere di Bennett Miller, senza tralasciare le felici incursioni al doppiaggio di Megamind e Happy Feet 2.

Di seguito, tutti i film interpretati dall’attore:

Senza via di scampo (No Way Out), regia di Roger Donaldson (1987) - Non accreditato
La fine del gioco (No Man's Land), regia di Peter Werner (1987) - Non accreditato
Al di là di tutti i limiti (Less Than Zero), regia di Marek Kanievska (1987) - Non accreditato
Innamorati pazzi (Happy Together), regia di Mel Damski (1989)
Giovani omicidi (Cutting Class), regia di Rospo Pallenberg (1989)
Vite dannate, regia di Robert Markowitz (1990)
Una pista per due (Across the Tracks), regia di Sandy Tung (1991)
Thelma & Louise, regia di Ridley Scott (1991)
Johnny Suede, regia di Tom DiCillo (1991)
Contact, regia di Jonathan Darby (1992) - Cortometraggio
Fuga dal mondo dei sogni (Cool World), regia di Ralph Bakshi (1992)
In mezzo scorre il fiume (A River Runs Through It), regia di Robert Redford (1992)
Kalifornia, regia di Dominic Sena (1993)
Una vita al massimo (True Romance), regia di Tony Scott (1993)
A letto con l'amico (The Favor), regia di Donald Petrie (1994)
Intervista col vampiro (Interview with the Vampire), regia di Neil Jordan (1994)
Vento di passioni (Legends of the Fall), regia di Edward Zwick (1994)
Seven (Se7en), regia di David Fincher (1995)
L'esercito delle 12 scimmie (12 Monkeys), regia di Terry Gilliam (1995)
Sleepers, regia di Barry Levinson (1996)
L'ombra del diavolo (The Devil's Own), regia di Alan J. Pakula (1997)
Sette anni in Tibet (Seven Years in Tibet), regia di Jean-Jacques Annaud (1997)
The Dark Side of the Sun, regia di Bozidar Nikolić (1997)
Vi presento Joe Black (Meet Joe Black), regia di Martin Brest (1998)
Fight Club, regia di David Fincher (1999)
Snatch - Lo strappo (Snatch), regia di Guy Ritchie (2000)
The Mexican - Amore senza sicura (The Mexican), regia di Gore Verbinski (2001)
Spy Game, regia di Tony Scott (2001)
Ocean's Eleven - Fate il vostro gioco (Ocean's Eleven), regia di Steven Soderbergh (2001)
Confessioni di una mente pericolosa (Confessions of a Dangerous Mind), regia di George Clooney (2002) - Cameo
Full Frontal, regia di Steven Soderbergh (2002) - Cameo
Troy, regia di Wolfgang Petersen (2004)
Ocean's Twelve, regia di Steven Soderbergh (2004)
Mr. & Mrs. Smith, regia di Doug Liman (2005)
Babel, regia di Alejandro González Iñárritu (2006)
Ocean's Thirteen, regia di Steven Soderbergh (2007)
L'assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford (The Assassination of Jesse James by the Coward Robert Ford), regia di Andrew Dominik (2007)
Burn After Reading - A prova di spia (Burn After Reading), regia di Joel ed Ethan Coen (2008)
Il curioso caso di Benjamin Button (The Curious Case of Benjamin Button), regia di David Fincher (2008)
Bastardi senza gloria (Inglourious Bastards), regia di Quentin Tarantino (2009)
The Tree of Life, regia di Terrence Malick (2011)
L'arte di vincere (Moneyball), regia di Bennett Miller (2011)

lunedì 6 febbraio 2012

STRAORDINARIO SCORSESE con HUGO CABRET


Un ritorno alla regia del “maestro” Scorsese, ridisegnando il romanzo di Brian Selznick, nel tributo più spettacolare all’inventore del cinema George Méliès

Effetti speciali e culto romanzato, per il biopic più celebrativo del regista, tra magia, sogni e storia del cinema.

Nel 1861, nasceva a Parigi un uomo che avrebbe segnato la storia di quell’invenzione “brevettata” dai fratelli Lumière, per trasformare il neonato cinema in quel prodigio di illusione e realtà, conditi con sapiente maestria “di parte”. Il suo nome era George Mèliés, illusionista di mestiere e pioniere di quelle tecniche cinematografiche che hanno segnato l’immaginario di ogni cineasta che si è cimentato dietro la macchina da presa, sino ai giorni nostri. Dal memorabile Viaggio nella Luna (Le Voyage dans la Lune) del 1902, si sono susseguiti innumerevoli capolavori di montaggio (Viaggio attraverso l’impossibile e lo stesso antecedente L'homme à la tête en cahoutchouc) che hanno devoluto l’illusione effimera di quegli effetti speciali all’avanguardia (fotogrammi colorati minuziosamente a mano e dissolvenze), che hanno portato alla bancarotta la stessa Star Film di Mèliér. Oggi, quel lascito di 1500 pellicole lo ha “meticolosamente” rieditato un altro grande del Cinema, rappresentante della “Nuova Hollywood”, adattando il romanzo scritto nel 2007 da Brian Selznick (La straordinaria invenzione di Hugo Cabret) per farne un autentico capolavoro di cinema degno di tanta veemenza di stile. Il regista non poteva che essere Martin Scorsese, Classe ’42, dalle salde radici italiane devolute nel suo film-documentario Italoamericani, omaggio ai genitori e a tutti gli immigranti che hanno caratterizzato la Little Italy newyorchese. Cresciuto sotto una rigida educazione cattolica e segnato da un’asma che lo ha portato a concentrare ogni sua attitudine all’amore per il cinema (quei primi storyboard disegnati, sostituendo la cinepresa con la meticolosa riproduzione di scenari e personaggi), Hugo Cabret è il più imponente viaggio nel fantastico che Scorsese abbia potuto realizzare, riflettendo la propria adolescenza nella caratterizzazione di quei personaggi narrati da Selznick, nell’omonima storia scritta in due parti, impreziosita da centocinquantotto disegni e una pragmatica evocazione “Collodiana” allacciata allo stesso Georges Mèliés, nell’automa ritrovato dal padre orologiaio (un rinato Jude Law passato dal Lucignolo di A.I. a neo-Geppetto di Scorsese), portatore di un segreto rinchiuso nello stesso patrigno della ragazza, Isabelle (Chloè Moretz), amica del giovane Hugo (Asa Butterfield), orfano che vive di espedienti nella capitale parigina degli anni trenta. La rincorsa contro il tempo nel riunire l’automa al suo omonimo proprietario (Ben Kingsley, nella straordinaria somiglianza con l’autentico Mèliés), diventano un nostalgico monito a riappropriarsi di quel mestiere artigianale che non può essere soppiantato dalle prodezze delle nuove ere tecnologiche (benvenga il 3D!), quando ogni successione è sempre il risultato dell’evoluzione precedente, come la stessa alchimia riposta tra i due “riconosciuti” padri fondatori del cinema, i fratelli Lumière e Mèlière, nella stessa evocazione citata da Jean-Luc Godard, definendo i primi, portatori dello “Straordinario nell’Ordinario” e il secondo, dell’ “Ordinario nello Straordinario”. Rimane, in assoluto, un tributo al cinema fantastico in ogni tempo, dall’elaborazioni al computer del pionieristico Tron di Lisberger allacciato allo stesso Viaggio nella Luna, in quella panoramica di colore e luci sulla Torre Eiffel, epicentro di ogni animo artistico degno solo di essere ammirato. Da ogni critica di giudizio. Per sempre.

Paolo Vannucci

mercoledì 11 gennaio 2012

DiCaprio torna a capo dell'F.B.I.


Cleant Eastwood dirige Leonardo DiCaprio, in una pragmatica biografia della vita di J. Edgar Hoover, storico direttore dell’F.B.I... ed è profumo di Oscar?

Due talenti consolidati del cinema americano, per una ennesima pagina di storia statunitense, riletta con volere intimista e lucida cronaca contemporanea.

Per far “crescere” Leo DiCaprio ci voleva la proverbiale durezza di un regista come Eastwood, abile infarinatore di soggetti cinematografici che attingono da una realtà capace di scuotere la morale, oltre ogni colore di bandiera, educando un pubblico che non sempre riesce a conciliare i tempi di una narrazione devoluta agli attori, con le incursioni volute da un regista che è cresciuto facendo entrambi i mestieri. I tempi degli spaghetti-western sembrano ormai un lontano ricordo, diventando sempre più un vanto da cineamatore, nell’ostentare ancora quei titoli nati da un maestro come Sergio Leone. Oggi, la maschera del granitico pistolero ha allungato le pretese, senza tralasciare gli oneri di quel passato, devoluti nel suo personale tributo a un genere, nel film diretto nel ’92, Gli Spietati, per arricchire il proprio curriculum con una invidiabile plètora di film che hanno conciliato buongusto e stile, passando dall’azzardato Million Dollar Baby, al poetico I Ponti di Madison County, distaccati lasciti di un genere che facilmente si possono aggraziare i consensi riposti nel suo ultimo film, J. Edgar, senza trascurare i più attinenti titoli legati alla serie poliziesca dell’ispettore Harry Callaghan. Una ennesima pagina di grande storia americana, dopo il trionfo visivo di Flags of Our Fathers, che sicuramente subisce fortemente le inflessioni narrative regalate da Michael Mann, nel suo Nemico Pubblico, complici la riuscita coppia Bale-Depp. Ma il cinismo “sarcastico” di Eastwood riesce a prevalere nella sua inedita biografia sul fondatore dell’F.B.I (Federal Bureau of Investigation), preoccupandosi di sondare l’emotività e le problematiche di un personaggio che ha dedicato la propria vita al Governo di un Paese, passando dalla “porta di servizio”. Un DiCaprio appesantito da un trucco che sembra voler tracciare un “sentito” limite tra la stessa vera identità di Hoover, nominato direttore nel 1924, fino alla sua morte, in quel prologo appesantito dagli anni, in cui ripercorre la propria vita, narrandone gli accadimenti. Tutto sembra incentrato sulla vulnerabilità di un uomo segnato dalle ambizioni di una madre amorevole e protettiva (Judi Dench), che forma il carattere di un ragazzo che impone la propria personalità, dettandone le regole e schivandone le ripercussioni sulla vita privata e sentimentale (il legame dell’amicizia velato da quel sapore assoluto dell’omosessualità, rappresentato dal collega Clyde Tolson). Principi morali e valori estetici che vuole fondere con il protocollo interno di un Organo di Giustizia, più volte attaccato per i sistemi ritenuti poco ortodossi, adottati dallo stesso Hoover. Accuse che sottolineano, inesorabilmente, una sorta di superficialità dimostrata da Edgar, in quella quasi assenza, sentita come una forma di gelosia, nelle azioni determinanti portate a termine dagli agenti che hanno lavorato sotto le sue direttive. Un DiCaprio che sembra far prevalere l’attore sul personaggio, come vuole lo stesso Eastwood, citando Brian De Palma nel suo Gli intoccabili, come forma di istruzione in quelle tecniche pionieristiche, impartite con ingenua meticolosità. La fotografia di Tom Stern e la sceneggiatura di Dustin Lance Black incorniciano un film che sembra destinato a forti ambizioni... ma su DiCaprio incombono pesanti perplessità di “Stato”. Cleant Eastwood ha fatto di nuovo centro, comunque vada...

Paolo Vannucci

domenica 8 gennaio 2012

DiCinema: la nuova Hollywood


Un viaggio nello star system mondiale, per conoscere gli attori e i registi che hanno rinnovato l’ultima generazione di miti in celluloide

Volto scolpito nella recitazione, per un attore che ha segnato il successo passando dal movie gangster di Leone alla commedia, nelle qualità di James Woods.


Ci sono volti che nascono per essere destinati alla simbiosi identificativa del carattere svestito con naturalezza e pronti per essere riciclati a nuova vita, mantenendo viva quella immedesimazione che è la dote più ambita da ogni attore... e James Woods, indubbiamente, è uno dei grandi attori dell’ultima generazione hollywoodiana, consacrato non solo dai ruoli sostenuti, ma supportato da un Q.I. (168 e il prestigio di appartenere al Mensa) che lo ha agievolato nel proprio cammino di artista. Identificato nella sua interpretazione più autorevole nelle mani di Sergio Leone in C’era una volta in America, in coppia con Robert DeNiro e una giovanissima Jennifer Connelly al suo battesimo cinematografico (sostituita da Elizabeth McGovern nella versione adulta n.d.r.), ma supportato da una gavetta televisiva e cinematografica iniziata nel ’69 con La sua Calda Estate, dopo aver lasciato gli studi universitari di Scienze politiche e proseguita con Sulle Strade della California e la più identificativa in Olocausto. I successi commerciali cominciano ad arrivare con Videodrome, diretto da David Cronenberg, psicodramma ad effetti speciali (Rick Baker) sull’ossessiva visione degli stereotipi legati al sesso-carne-morte riflessi nei media. Cinema d’impegno nelle mani di Oliver Stone nel film-denuncia Salvador, che gli ha valso la sua prima nomination all’Oscar, e il successivo Cocaina di Harold Backer, affiancato da Sean Young nel travaglio autodistruttivo del personaggio, causato dalla tossicodipendenza. Seguono Verdetto finale, nei disimpegni commerciali di un’aula di tribunale e Insieme per forza, felice commedia diretta da John Badham, in coppia con Michael J. Fox e Annabella Sciorra. Slalom senza difficoltà tra il doppiaggio ne I Simpson, e i film-cassetta Lo specialista (Sharon Stone e “Sly” Stallone da cornice) e il remake del film di Peckinpah, Getaway, con Alec Baldwin nel sostituire McQueen e Kim Basinger nel ruolo della complice. Meritevole di nota rimane Legami di famiglia, sulle delicate note del tema dell’affidamento, sulle provate spalle di una collaudata Glenn Close e la giovane coppia Masterson-Dillon. Seconda nomination all’Oscar per L’Agguato, diretto da Rob Reiner ed ennesima denuncia sulla discriminazione razziale da parte dei neri d’America, sulla scia di Mississipi Burning e sceneggiato da Lewis Colick, tratto da reali accadimenti. Degni di nota sono Il giardino delle Vergini suicide, diretto nel ‘99 da Sofia Coppola, l’incursione nel comico-demenziale Scary Movie 2 e le ennesime incursioni da doppiatore nei Stuart Little 2, Hercules e Surf’s up- I Re delle Onde. A concludere, la citazione di un meritevole Shark-Giustizia a tutti i costi, sulla scia delle neonate serie televisive americane che mirano a rispolverare i miti cinematografici di una generazione ancora meritevole di consensi.

Di seguito, tutti i film dell’attore:

La sua calda estate (Out of It, 1969)

I visitatori (The Visitors) (1972)

La morte arriva con la valigia bianca (Hickey & Boggs, 1972)

Come eravamo (The Way We Were, 1973)

40.000 dollari per non morire (The Gambler, 1974)

Bersaglio di notte (Night Moves, 1975)

A tutte le auto della polizia (The Rookies) (1975) - Serie Tv

Sulle strade della California (Police Story) (1975-1976) - Serie Tv

Uno sceriffo a New York (McCloud) (1976) - Serie Tv

La zingara di Alex (Alex & the Gypsy, 1976)

I ragazzi del coro (The Choirboys, 1977)

Olocausto (film TV) (Holocaust, 1977)

Uno scomodo testimone (Eyewitness, 1981)

Videodrome (1983)

C'era una volta in America (Once Upon a Time in America, 1984)

L'occhio del Gatto (Cat's Eye, 1985)

Salvador (Salvador, 1986)

Best Seller (Best Seller, 1987)

Cocaina (The boost, 1988)

Verdetto Finale (True Believer, 1989)

Insieme per forza (The hard way, 1991)

Charlot (1992)

I Simpson (serie TV, 1994)

Lo specialista (The Specialist, 1994)

Getaway (The Getaway, 1994)

Casinò (1995)

Gli intrighi del potere - Nixon (1995)

L'agguato (Ghosts from the Past)', 1996)

Contact (1997)

Hercules (1997) (voce di Hades)

Un altro giorno in paradiso (Another Day in Paradise) (1998)

Vampires (John Carpenter's Vampires, 1998)

Il giardino delle vergini suicide (The Virgin Suicides, 1999)

Fino a prova contraria (1999)

La figlia del generale (The General's Daughter, 1999)

Ogni maledetta domenica (Any given sunday, 2000)

I ragazzi della mia vita (2001)

Ricreazione - La scuola è finita (Recess: School's Out, 2001) (voce)

Scary Movie 2 (2001)

Final Fantasy: The Spirits Within (2001) (voce)

Stuart Little 2 (2002) (voce)

John Q (2002)

Be Cool (2005)

Shark - Giustizia a tutti i costi (serie TV, 2006 - 2008)

End Game (2006)

Surf's up - I re delle onde (Surf's up, 2007) (voce)

An American Carol (2008)

Cane di paglia (2010)